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Quando Livorno salvò il Vespucci che era destinato alla “pensione” (la storia che non tutti sanno)

di Gian Ugo Berti

	Una bellissima foto del Vespucci a Livorno
Una bellissima foto del Vespucci a Livorno

Nel 1971 il Parlamento voleva dismetterlo per poi ricostruirlo. Il dietrofront dopo la reazione della città innescata dal Telegrafo

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LIVORNO. Ha strabiliato tutti facendo il giro della terra, la “nave più bella del mondo” ed è tornata nella “sua” Livorno, dove è rimasta per quattro giorni prima di ripartire in direzione Genova. Eppure, nella lunga storia (dal 1931) del Vespucci, c’è stato un momento storico – narrato allora in esclusiva da Il Telegrafo – in cui si corse il rischio concretamente di una “messa a riposo”, perché la politica aveva stabilito come non ci fossero sufficienti fondi per restaurarla (date le caratteristiche tecniche e strutturali sarebbero stati veramente tanti). Riavvolgiamo il nastro. Strano, ma vero: tutto iniziò nella nostra città.

Siamo nel 1971 (un ricordo quindi che solo chi abbia ora i capelli bianchi è in grado di rivivere con la stessa emozione). Il Parlamento – in sede di discussione – era propenso a non reperire i soldi e per le forze istituzionali. Ma – per fortuna – non sempre ciò che si pensa a Roma, trova d’accordo i livornesi.

Uno in particolare, il giornalista parlamentare Angiolo Berti che, seguendo queste “voci”, decise di diffonderle. Ovviamente il più adatto fu “Il Telegrafo”, diretto da Carlo Lulli. Così, il 4 febbraio, il quotidiano labronico dedicò un’intera pagina con le interviste al Capo di Stato Maggiore della Marina, Roselli Lorenzini ed ai maggiori esperti velici militari.

Tutti dissero a chiare lettere che dismetterla e poi ricostruirla (ipotesi formulata dal Parlamento), sarebbe stato ancora più caro, mentre invece una ristrutturazione selettiva avrebbe valorizzato il veliero e (particolare non indifferente) con una spesa inferiore.

La notizia fece scalpore in città e le forze politiche locali esternarono la loro più viva preoccupazione perché la Vespucci rappresentava un tutt’uno con l’Accademia e quel fantastico mondo che unisce sempre i “cadetti con lo sciabolino” e la genuina amicizia verso la gente, forgiata dall’indelebile salsedine che impregna quegli scogli. Lo scoramento in quei giorni si leggeva chiaramente negli occhi di tutti. Non era immaginabile una “Livorno” senza quella nave ogni volta che partiva e ritornava dopo le crociere nei mari e nelle terre del globo.

Nella vicenda, però, questa era solo la prima parte. Se cioè l’iniziativa de “Il Telegrafo” aveva senz’altro portato il problema a livello nazionale (quotidiani, radio e televisioni sottolineavano con grande evidenza l’importanza delle decisioni istituzionali e le inevitabili conseguenze), la seconda si svolse nel mondo parlamentare. Sì, perché Berti, ben deciso a proseguire la propria “battaglia”, forte del suo indomito spirito labronico, cominciò un lavoro d’informazione e sensibilizzazione verso le componenti del Parlamento e dei singoli deputati. Un lavoro certosino ed attento basato sulla realtà dei fatti e la necessità di mantenere viva nel mondo l’immagine storica d’un Paese marinaro come l’Italia,

I fatti gli hanno dato ampiamente ragione e la scelta d’ideare un’iniziativa di questa portata, che si concluderà a Genova dopo la penultima tappa a Livorno, è la conferma del rapporto d’affetto verso l’emblema della nostra Marina. È bene dunque riflettere, alla luce di quanto sopra, perché il successo mondiale anche al di là delle più rosee previsioni, ha un nome “Amerigo Vespucci” e, nel suo spazio, una città come Livorno, una comunità genuina, legata alle tradizioni ed al contempo al messaggio di pace ed all’unione fra i popoli attraverso i mari del mondo. “Solo” una città di provincia – ne prendiamo atto – di cui, però, l’Italia, può andare orgogliosa. 


 

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