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L'inchiesta

Livorno, permessi di soggiorno facili. Le intercettazioni: «Ti porto un cliente buono che ha 400-500 indiani»

di Stefano Taglione
La conferenza stampa dell'Arma
La conferenza stampa dell'Arma

Così parlavano al telefono, ascoltati dai carabinieri, marito e moglie per pianificare le richieste di ingresso in Italia dei cittadini asiatici

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LIVORNO. «Domani ti faccio conoscere un cliente buono! Che ha 400-500 cape nere... indiani dicesti eh?». Parlava così, in una conversazione telefonica intercettata dai carabinieri del nucleo investigativo di Livorno, il quarantatreenne napoletano Umberto Saviano, residente a Carbonara di Nola, nel Napoletano. All’altro capo del filo la moglie Antonietta Sorrentino, 33 anni, che «non capendo inizialmente il tenore della telefonata, essendo incredula del fatto che il coniuge parlasse tranquillamente al telefono di tali questioni – scrive nell’ordinanza di custodia cautelare il giudice per le indagini preliminari Gianfranco Petralia – domanda a quali “indiani” si riferisca, e Saviano risponde che intende quelli che aveva chiesto lei: “Che Indiani Umberto?”, chiede. “Non dicesti che ti servono gli indiani?”, ribatte lui», col dialogo che si interrompe subito perché «il marito non avrebbe dovuto parlare al telefono di tali questioni», prosegue il giudice. È anche da queste intercettazioni che gli inquirenti sospettano un giro più grande, ben al di là di Livorno, del presunto giro di permessi di soggiorno.

«L’importanza di questa operazione – le parole del colonnello Piercarmine Sica, il comandante provinciale dei carabinieri di Livorno – è collegata al contrasto dell’invio di decine di migliaia di richieste di regolarizzazione per i cittadini extracomunitari, che se non fosse stata interrotta nel novembre scorso avrebbe comportato l’ingresso di altrettanti stranieri che, previa la richiesta di oltre 500 ditte all’oscuro dei fatti, avrebbero ottenuto il nullaosta dalle prefetture di tutta Italia, inondate da numerosissime richieste e quindi in seria difficoltà nel controllarle».

Saviano e Sorrentino, inoltre, sono accusati di aver allestito nel loro appartamento napoletano un centro di assistenza fiscale abusivo. «A dir poco impressionante – scrive infatti il giudice – la mole di cose pertinenti al reato rinvenute nell’abitazione di residenza di Sorrentino, tali da configurare un vero e proprio ufficio “Caf” abusivo, che ha consentito di porre sotto sequestro quattro computer portatili, due pc, due scanner, due stampanti professionali, tre router collegati ai computer, un timbro tondo (originale) riportante “Ordine consulenti del lavoro consiglio provinciale di Napoli”, otto cellulari adibiti esclusivamente agli accessi Spid, alcuni minuti di più sim card, 18 scatole di smartphone prive di telefono e numerate, oltre a 649 fascicoli e cartelline contenenti visure camerali e documenti di identità». Più in generale, le perquisizioni, hanno portato al sequestro di 17 terabyte di dati, timbri clonati di Comuni e professionisti, documentazione su 500 aziende sparse in tutta Italia e 70 dispositivi digitali fra computer, hard disk e smartphone. «Nel corso delle indagini – scrivono i militari – è stato ricostruito un articolato modus operandi attraverso la minuziosa analisi delle tracce telematiche (account Spid, indirizzi mail e Ip) lasciate dagli indagati in occasione degli accessi al portale ministeriale, nonostante i diversificati tentativi di eludere le investigazioni come l’utilizzo di mail e identità digitali riconducibili a ignare terze persone».

In un’altra conversazione un uomo, al telefono con Sorrentino, su un accertamento sulla proprietà di un’azienda suggerisce che «se fai la visura aggiornata esce fuori il nuovo amministratore, si deve presentare lui. Se invece c’è inconsapevolezza che l’azienda sia fallita, si può presentare un qualsiasi nuovo amministratore che si assume il ragazzo».

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