Livorno, faceva super sconti alla clientela: commesso dovrà ridare 190mila euro al negozio
Condannato un 37enne livornese di un’azienda di mobili di Perignano. Ha venduto cucine facendo risparmiare ai vari acquirenti un totale di 272mila euro
LIVORNO. Ai vari clienti avrebbe praticato sconti non autorizzati dalla proprietà per ben 272.120,11 euro, provocando all’azienda per la quale lavorava – il megastore della Scavolini di via Livornese est a Perignano, Mib Arredamenti il nome della società – un danno economico notevole. Per questo, un commesso livornese di 37 anni, è stato condannato dal tribunale civile labronico a risarcire la ditta del comune di Casciana Terme Lari per 190.484,07 euro, due terzi rispetto all’importo che mancherebbe nelle casse aziendali. Fra i prodotti venduti in saldo ci sarebbero cucine e mobili proprio della Scavolini. La sentenza, per ora, non passerà in giudicato: l’avvocato dell’uomo, il livornese Marco Guercio, proporrà ricorso in appello.
I fatti
L’ex dipendente, nato a Pisa e residente in città, ha lavorato come responsabile del punto vendita pisano dall’ottobre del 2019 al giugno del 2021, quando «si è inspiegabilmente dimesso», si legge nella sentenza della giudice Simona Capurso. «Ed è così iniziata una revisione delle attività da lui compiute – si legge ancora nel provvedimento – da parte del ragioniere livornese Marco Antonini, dalla quale è emerso che, durante il periodo in cui è stato alle dipendenze dell’azienda (cioè dall'11 ottobre del 2019 al 29 giugno del 2021) ha praticato, in numerose occasioni, notevoli riduzioni rispetto ai prezzi di listino con un danno per l'azienda di circa 19.000 euro nel 2019, di circa 116.000 euro nel 2020 e di circa 59.000 nel 2021». «Tutti i dipendenti – ha spiegato la società – avevano da sempre ricevuto l’ordine di vendere la merce al prezzo di listino, salvi casi eccezionali in cui potevano effettuare uno sconto sul prezzo, previa necessaria autorizzazione del legale rappresentante della società». Ribassi non così frequenti, insomma, come sarebbe avvenuto in questo caso. Per questo l’azienda ha fatto causa all’ex commesso.
La sentenza
«Tale accertamento, sebbene non idoneo a elidere del tutto la responsabilità del convenuto nella causazione dei danni per cui è causa in quanto ha effettivamente posto in essere una condotta violativa di obblighi contrattuali – scrive la giudice – è però idoneo a ritenere accertata una responsabilità concorsuale anche dell’attore danneggiato, che può essere valutata nella misura 30%, tenuto conto dell’omesso controllo sull’operato del dipendente, con conseguente responsabilità di quest’ultimo al 70%. Ciò posto, e accertata la concorrente responsabilità del danneggiato nella causazione o aggravamento di tali danni nella misura del 30%, il convenuto deve essere conseguentemente condannato al risarcimento in favore della società dei danni subiti nella misura del 70% e dunque pari a 190.484,07 euro».
«L’azienda – si legge ancora – ha infatti prodotto tutti gli ordini conclusi dal dipendente durante il periodo di vigenza del contratto di lavoro, e i relativi listini prezzi della casa produttrice del mobilio (la Scavolini) per gli anni interessati. Dall’esame della documentazione emerge, effettivamente, una discrasia tra il prezzo applicato dal commesso e quello che avrebbe dovuto applicare secondo i listini». Il commesso è stato anche condannato a pagare le spese di giudizio, quantificate in 5.258,40 euro «per compensi oltre spese generali al 15%, Iva e cassa di previdenza forense». «Si ritengono, inoltre – si legge ancora nella pronuncia – sussistenti i giusti motivi per disporre la compensazione parziale delle spese nella misura di un terzo, tenuto conto dell’accoglimento solo parziale della domanda e dell’accertamento della concorrente responsabilità tra le parti nella causazione dei danni per cui è causa».
Ricorso in appello
L’avvocato incaricato di proporre appello, Marco Guercio, annuncia il ricorso. Secondo la difesa, infatti, la proprietà era a conoscenza praticamente in tempo reale degli sconti applicati e, inoltre, non si può avere la certezza che i clienti avrebbero acquistati gli stessi mobili al prezzo piano previsto dai listini che, la società, ha prodotto per la conta dell'ammanco durante la causa civile.