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Livorno, il rugby per rieducare i detenuti: le “Pecore nere” si moltiplicano

di Stefano Taglione
Una foto dell'evento a Stagno
Una foto dell'evento a Stagno

Il progetto delle Sughere esportato nel Senese, a San Gimignano: si chiamerà “Haka”. A Stagno prima partita con tre ospiti del penitenziario in campo con un permesso premio

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LIVORNO. Il rugby per rieducare i detenuti delle Sughere. Ma non solo: ora anche quelli del carcere di San Gimignano. Il progetto delle “Pecore nere”, la squadra della palla ovale del penitenziario di via delle Macchie, verrà presto replicato nel Senese, dove è partita un’iniziativa analoga grazie all’impegno dell’Amatori Rugby Toscana. Se a Livorno a operare sono i “RinoCerotti”, gli ex Cus Pisa affiancati ai Lions Amaranto, a San Gimignano se ne occupano i colleghi degli “Allupins” di Prato, entrambe compagini del cosiddetto “Old rugby”, dedicato agli over 35 e contraddistinto da regole leggermente diverse rispetto allo stesso sport tradizionale, proprio per preservare al meglio la salute degli atleti, alcuni dei quali sessantacinquenni e non più, insomma, giovanissimi.

A capo dei due progetti il livornese Maurizio Berti, che proprio sabato 5 aprile ha contribuito a realizzare un’iniziativa unica nel suo genere: tre detenuti di San Gimignano, in permesso premio, hanno giocato un tempo per parte nel “derby” che si è giocato a Stagno proprio fra le due realtà che hanno aperto al gioco con i carcerati, i “RinoCerotti” e gli “Allupins”. Il responsabile è affiancato da Stefano Maganzi, mentre ad allenare sono Michele Niccolai, Vincenzo Limone e Mario e Marco Lenzi per le “Pecore nere” e Leonardo Panci, Antonino Ruggiero, Celso Biscardi e Leonardo Abbrusci a San Gimignano. «Questi ragazzi – commenta Berti – hanno una gran voglia di fare, sono bravi, a San Gimignano presto sarà creata una squadra interna al carcere come le “Pecore nere”, si chiamerà “Haka”, dal nome della danza maori dei rugbisti neozelandesi.

I contatti con la federazione sono stati continui e anche col mondo dell’arbitraggio, mentre gli Amatori Rugby Toscana hanno gestito tutta la parte relativa ai contatti col ministero e con il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria». L’evento di sabato scorso era particolarmente importante perché, per la prima volta, i detenuti-rugbisti hanno sfruttato un permesso premio per poter giocare fuori dalle mura penitenziarie. Quando ci sono le partite, invece, le “Pecore nere” giocano nel piccolo campo, non regolamentare ma comunque sufficiente, all’interno del carcere di via delle Macchie. È qui che, più ogni mese, si disputano i match.

«Il rugby è uno sport dove le regole vengono prima di tutti, così come la squadra – conclude Berti –. La squadra, il “noi”, è l’importante, è ciò che prevale, e in un mondo in cui alcune persone, parlo dei detenuti, in passato hanno violato delle regole, ricordarle attraverso lo sport è positivo, un insegnamento. Sono due progetti importanti, ambiziosi, che possono senz’altro migliorare la vita di questi ragazzi, che hanno 30 anni e usufruiscono di una deroga per giovare nell’over 35. Nel rugby, insomma, se sei un fenomeno ma non hai la squadra, non vai da nessuna parte. E il “noi”, lo stare insieme e giocare di squadra, è ciò che deve sempre prevalere. Come nella vita».

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