Livorno

Il racconto

Livorno, la storia del cimitero secolare di via Goito fra leggende e decreti napoleonici

di Franco Marianelli
Livorno, la storia del cimitero secolare di via Goito fra leggende e decreti napoleonici<br type="_moz" />

Alessandra Favilla: «Un fidanzato aprì una bara per dare un bacio alla sua amata»

30 agosto 2023
3 MINUTI DI LETTURA





Livorno Se vi capitasse di passare di notte lungo la via Goito, in particolare pressappoco all’angolo con via Giovanni da Verrazzano (dal lato di via Montebello), non vi preoccupiate di eventuali lamentazioni che giungessero alle vostre orecchie: saranno verosimilmente le anime i cui corpi, sino a un secolo fa, erano là depositati. Scherziamo, ovviamente, ma solo per quanto riguarda i rumori: fino al 1922, si era conclusa la Prima guerra mondiale da qualche anno, sorgeva infatti in quest’area il cosiddetto “cimiterino” o “camposantino” di San Jacopo, «un cimitero circondato da un muro alto tre metri costituito da un appezzamento a forma di “T” con in fondo una vecchia cappella e ai lati loggiati, per un totale di circa duemila metri quadri», ci racconta Enrico Del Chicca, geloso custode della storia del quartiere e fonte di preziose informazioni per chiunque voglia saperne di più della storia di San Jacopo, il rione labronico dove vive e che ama scoprire nel suo passato.

La storia

Praticamente la costruzione costeggiava via Goito fino a una decina di metri prima di incrociare via Giovanni da Verrazzano, arrivando nell’interno nella zona ora “occupata” in parte dal piazzale Villa Chayes e in parte dagli Orti urbani, che si estendono su uno spazio di circa sei ettari. «Ricordo da bambino – afferma Maurizio Zingoni, storico esponente del centrodestra livornese, già consigliere comunale a Livorno e in passato candidato dalla presidenza di Palazzo granducale, sede della Provincia – come dall’ultimo piano del numero civico 99 di via Goito, dove abitavo, di aver visto affiorare in questa area alcuni marmi di lapidi». «L’area costò ai Padri Agostiniani 625 scudi e il cimitero fu inaugurato il 6 ottobre del 1784 – rivela Del Chicca – ma esattamente 90 anni dopo il sindaco (erano gli anni del napoleonico editto di Saint Cloud, che interdiva le aree urbane ai fini cimiteriali) decretò lo spostamento delle salme nel camposanto della Cigna». Quello che oggi è il cimitero dei Lupi, in via don Aldo Mei, che ha quindi di fatto sostituito lo storico “camposantino” di via Goito.

I primi del Novecento

Come succede nel nostro Paese un conto è decretare, un conto è far rispettare il decreto stesso, tant’è che arriviamo al 1905 e il cimitero è incredibilmente ancora lì. L’allora sindaco di Livorno, con una nuova ordinanza, ne vietò allora l’accesso al pubblico per motivi di sicurezza. Il camposanto rimaneva, insomma, ma nessuno poteva andare a portare un fiore ai propri defunti. «Aiutò il sindaco anche il parroco di San Jacopo, Guiggi – racconta ancora lo storico e abitante del quartiere labronico – che scrisse una lettera sul periodico diocesano “Fides” con la quale si ribadiva che, se le famiglie interessate non avessero rimosso i resti dei familiari, lo avrebbe fatto il Comune, presumibilmente con spese a carico delle famiglie stesse».

La vendita

In ogni caso, da quanto è stato ricostruito dagli archivi pubblici, nel 1921 l’area fu venduta per 1.313,24 lire dell’epoca a tale signor Carlo Parenti. Il quale però si dovette sobbarcare ancora la presenza delle salme se è vero, come prosegue Del Chicca, che «sulla Gazzetta Livornese il 31 marzo del 1922 le famiglie livornesi furono ancora chiamate a rimuovere i resti dei cari estinti».

L’appello

A poco servì pure l’appello sul giornale e il 15 gennaio di due anni dopo si richiese in proposito l’intervento del prefetto dell’epoca, grazie al quale il problema fu finalmente risolto. La nostra concittadina Alessandra Favilla aggiunge un tocco di macabro romanticismo alla storia del “cimiterino” di via Goito, citando il padre Cesare, che scrisse versetti e racconti della sua Livorno con lo pseudonimo di “Sor Cesare”, compresa l’opera letteraria “Oggi è l’istesso”, una versione labronica de “I Promessi Sposi”, il celebre romanzo di Alessandro Manzoni pubblicato, nella sua prima edizione, nel 1825. «Babbo mi raccontò (Leggenda? Fatto vero ?) che un giovane cui era morta la fidanzata non fece in tempo a salutare la salma prima della sepoltura nel camposanto. Ebbene entrò nel cimitero, scavò, aprì la bara per dare alla sua bella un ultimo bacio». l

© RIPRODUZIONE RISERVATA

Primo piano
L’operazione

Empoli, fallimenti pilotati: in carcere un falso commercialista, in quattro ai domiciliari