Il Tirreno

Livorno

La storia

La scelta di Tina, ex insegnante di arti marziali che fa la pastora alla Valle Benedetta

di Franco Marianelli
La scelta di Tina, ex insegnante di arti marziali che fa la pastora alla Valle Benedetta

Originaria di Carpaneto Piacentino, è arrivata in questa conca, tra la Sambuca e il Corbolone: «Con le mie pecore siamo autosufficienti»

30 marzo 2023
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LIVORNO. Ci voleva un pastore di anime per farci conoscere una degli ultimi pastori di pecore di Livorno. È don Cristian Leonardelli, parroco rurale della Valle Benedetta, a presentarci Tina Mazzoni, ex insegnante di Tai Chi (la disciplina cinese un po’ arte marziale, un po’ tecnica di medicina “interiore”) convertita alla pastorizia. Per arrivare da Tina cogliamo l’occasione del viaggio (è il caso di dirlo) di don Cristian e dei suoi collaboratori per i colli e le vallate della zona alla ricerca degli altri eremiti locali ai quali somministrare la benedizione pasquale. Partenza concordata dal piazzale sopra la chiesa, ultimo lembo di terra asfaltato, per imboccare la via della Sambuca che porta all’omonimo ex eremo. Da lì un viaggio di circa mezz’ora su una strada che definire impercorribile per un’auto ordinaria è dir poco.

Grazie alla piccola utilitaria “cingolata” parrocchiale costeggiamo crepacci tipo andino, passiamo un guado fortunatamente ai minimi sindacali, imbocchiamo due o tre traverse della strada principale e arriviamo al cascinale della pastora Tina, casa che divide con il figlio e la di lui famiglia. Prima di tutto la benedizione di Don Cristian, stola, sandali e cappellino peruviano, che fa un suggestivo parallelo tra l’Agnello di Dio e il mestiere per il quale siamo qui. Dopo, frittelle e ricotta per tutti.

La prima domanda da fare a Tina, originaria di Carpaneto Piacentino, è che cosa abbia portato una bella donna emiliana, insegnante di arti marziali, in questa conca, tra la Sambuca, il Corbolone e la Valle Benedetta a una o due centinaia di metri dal confine con Collesalvetti, denominata Le Casine (o Le Cascine). «Mi recai nel lontano 1981 in Sicilia e lì conobbi un livornese di cui mi innamorai – racconta –. Con lui venimmo qui. Il livornese non c’è più (nel senso che non stanno più insieme ndr) ma io sono rimasta qui con mio figlio e i suoi nipoti. Mia figlia invece vive nel colle qui vicino e fa il mio stesso mestiere».

Mai pensato di tornare alla vita “civile”?

Tina ci mostra la natura attorno e risponde. «E perché dovrei farlo?».

Sopra un poggetto una ventina di pecore pascolano placidamente, dietro l’abitazione altrettante capre. Poi api e galline. «Posso dire che io e la mia famiglia – racconta – siamo autosufficienti visto che abbiamo pure l’orto. In città ci andiamo solo per cose extra tipo vestiario».

Ma visto il tipo di viaggio e considerando la presenza di nipoti in giovane età non è problematico il viaggio verso Livorno o Collesalvetti?

«Abbiamo due mezzi adatti» risponde mostrando due “jeeppine”.

Proseguiamo l’intervista sotto gli occhi sospettosi di un capra “da guardia”, nera come la pece, che mal sopporta la nostra presenza e che manda occhiate premonitrici di una possibile carica. Fortunatamente l’animale preposto da tradizione alla custodia delle pecore ci fa invece le feste: lui è Giò, un meticcio frutto della relazione tra un pastore australiano (nel senso dell’animale) e di una pastora scozzese.

Tina, in cosa consiste il suo lavoro?

«Beh, alzarsi al mattino e far uscire le pecore e le capre che nel mio caso non vanno accompagnate lontano perché non sono molte. Rimangono nei paraggi. Poi tutte le funzioni legate alla mungitura e alla produzione del formaggio. Ma noi produciamo solo per uso familiare e quindi il nostro lavoro è minore di quello di altri pastori».

A fare la guardia alle pecore c’è appunto Giò che, dice la signora Tina, «è tanto buono con gli umani quanto determinato con i lupi e gli altri predatori». Il problema esiste? «Certo che sì, ho subito danni e nel passato ho avuto anche modo di vedere i lupi all’opera. Ma fondamentale è l’opera preventiva di Giò…». Ovvero? «Dal tintinnare delle campanelle delle pecore sa capire il tipo di rischio che stanno vivendo. Se sente il ritmo accelerato scatta subito».

Ma il problema che Tina avverte di più, e ci prega tramite il giornale di farlo sapere, è un altro: «Qui – ci dice - nonostante il posto sia lontano dai centri abitati vengono spesso le persone a fare passeggiate. Spesso accompagnati dai propri cani. Che non sono al guinzaglio. E questo lo posso anche capire visto l’ambiente aperto. Ma in vista di un gregge – è la sua denuncia – occorre allacciarli in quanto nella natura di un cane vi è un possibile attacco alla pecora. Di recente un pitbull ha preso una mia pecora per la mascella e non la mollava. Correttamente il proprietario del cane mi ha rimborsato il danno. Poi succede che i cani le rincorrano nel bosco e le pecore si perdono o si fanno male. Praticamente fanno più danni i cani (per colpa ovviamente dei proprietari uomini) dei lupi». l
 

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