Senza memoria e senza identità, così Livorno non costruisce il futuro
La morte di Renato Tedeschi, ultima di tanti personaggi politici che meritano il ricordo: perché il Comune non finanzia cinque progetti per giovani storici?
LIVORNO. Sulla morte di Renato Tedeschi, ultimo della sua generazione ad aver diretto il Pci, è stata scritta una apprezzata biografia da parte di Claudia Guarino. Così come su Virgilio Simonti era toccato a Mauro Zucchelli, cui si devono anche le biografie politiche di Gianfranco Lamberti, Giorgio Kutufà, Mario Baglini, Beppe Stagi, Gino Baldi e Gianfranco Magonzi. Tutti dirigenti politici e amministratori che non hanno lasciato di sé e del loro tempo nessuna testimonianza scritta. Avrebbero avuto molte cose da dire, ma le hanno portate con sé. Così chi si troverà a scrivere la storia dei loro anni si troverà privo di elementi indispensabili.La scomparsa in breve tempo di personaggi di rilievo nella vita della nostra città mi ha stimolato una sfilza di ricordi e memorie acquisite nel tempo che propongo per come mi sono venute, così un po’ alla rinfusa, saltando di palo in frasca. Per arrivare ad una riflessione finale.
Simonti, Nannipieri e gli altri
Partiamo da Virgilio Simonti. Quale fu la sua posizione nel 1982 quando si tentò - progetto naufragato - di sostituire il sindaco Nannipieri con il segretario della federazione del Pci Luciano Bussotti? Fu a favore o contro? Roberto Benvenuti sindaco e Simonti assessore all’ambiente, ebbero il merito di risolvere il problema delle navi dei veleni nel 1989. Eppure dopo aver realizzato impianti di avanguardia nel trattamento di rifiuti speciali e pericolosi sul porto e nella zona di Collesalvetti, tutto è stato abbandonato alle ortiche. Poteva essere l’asse di un nuovo assetto economico della città, ma l’abbiamo perduto. Perché? E che posizione prese, sempre Simonti, nel 1989-90 sul superamento del Pci? Era per la mozione del "no", ma lui restò nel Pds, non andò in Rifondazione comunista come Mario Baglini, che pure passava per essere un "destro". E perché Mario Baglini, storico e filosofo di eccellenza, che era in lizza, non fu candidato a sindaco nel 1985 e gli fu preferito Roberto Benvenuti? Forse perché lo si diceva - cosa per me assai strana - ostile all’eventuale alleanza con il Psi e fautore della maggioranza assoluta e del ruolo primario del Pci. Nannipieri - ero presente al brindisi - preferiva Benvenuti. Forse Baglini venne escluso per questa ragione politica o aveva tentennato e mostrato tiepidezza quando la segreteria della Federazione tentò di far fuori Nannipieri? Non lo so. Già, Roberto Benvenuti...ma che diamine fece costui per essere il primo sindaco di Livorno eletto al Parlamento e che per un secondo mandato fu rifiutato dal Pds livornese con una sorta di referendum e dovette candidarsi a Grosseto? E poi scomparire dalla vita della sua città.
Sviluppo o conservatorismo?
Nel 1984 venne lanciato l’ambizioso programma di ammodernamento delle linee di governo della città, noto come piano o programma della Goldonetta, propugnato da Sergio Landi, segretario della federazione, programma che in realtà venne rapidamente svuotato di ogni carica innovativa. Forse perché prevaleva il conservatorismo finalizzato a mantenere il più a lungo possibile il blocco sociale che dava il consenso? E forse fu per questo conservatorismo che sempre al momento dei Decreti Prandini, invece di tentare una trattativa-mediazione con il governo del Caf (sigla per i soli iniziati, diciamolo: Craxi-Andreotti-Forlani) e l’alleanza livornese Fremura-Neri-D’Alesio come proponeva Landi (che anche per questo perse la segreteria?), si preferì il glorioso muro contro muro fino al commissariamento della Compagnia portuali e all’inizio del suo declino. E tornando a Simonti, che parte ebbe nel 1999 quando una buona fetta dei Ds tentò di sloggiare da Palazzo Civico Gianfranco Lamberti, considerato un alieno nel gruppo dirigente? Ma cosa aveva Lamberti che non andava, per esempio per il mio amico di antica data Vittorio Vittori, suo deciso avversario?
La perdita delle industrie
Come fu che a partire dagli anni Novanta la città vide ridimensionarsi il suo porto e cominciò a perdere le sue industrie? Non dico solo la Spica o la Motofides. Ma mi ricordo la Vetreria Italiana con Livorno che era stata per decenni capitale del vetro, come Empoli in Toscana; mi ricordo la Richard Ginori, che non faceva piatti artistici ma isolatori elettrici, oppure la Pirelli proprio sul viale Carducci e i sui 500 operai. E infine soprattutto il Cantiere, che grazie a Lamberti - strenua battaglia - dopo l’avventura della coop (per Prodi una impresa impossibile) - rimase un cantiere di naviglio supertecnologico e superlusso.Com’è che questa città ha perduto molte delle sue capacità produttive? E dunque occupazionali. Una risposta?Come fu che nel 1957-8 il vescovo Pangrazio perseguitò don Angeli, don Tintori e altri preti della Resistenza? E come si produsse lo scontro interno alla Dc nei primi anni ’50 tra la corrente del ministro Togni e quella del presidente della Camera Gronchi, considerato gran protettore dell’industria livornese e per questo insignito di medaglia d’oro dal Comune social-comunista guidato da Furio Diaz, che per questo ricevette ampie reprimende dal suo partito? Così almeno mi disse lui. E con Gronchi presidente della Repubblica cosa significò per la città l’ascesa di Gianfranco Merli a capo della sua segreteria? Poi Merli divenne parlamentare, quello che per primo pose con la famosa legge le basi della politica ambientale in Italia e la pagò cara con la bocciatura della riconferma a deputato (allora gli industriali non gli furono grati, e gli altri non se ne accorsero...). C’era anche la Dc a Livorno con una lunga tradizionale popolare e cristiano-sociale che aveva nel vecchio Lugetti il suo riferimento e in Merli la sua mente e nei giovani Kutufà, Mancusi, Batini i propri alfieri. Ma chi si ricorda del ruolo dei repubblicani, dai tempi dell’opposizione negli anni ’50 guidata dall’avvocato Giorgio Campi fino al tripartito Pci-Psi-Pri ai tempi di Lamberti e all’elezione dell’avvocato Paggini in parlamento? Che ne è di quella tradizione laica? Per non parlare dei socialisti, anima critica della sinistra, vittime di ripetute scissioni, alleati costanti e spesso subalterni del Pci fino ai primi anni ’60; e poi dentro e fuori le giunte a seconda delle diverse fasi. Qui si deve a Massimo Bianchi la ricostruzione dei vari gruppi dirigenti nel dopoguerra così come a Enzo Fiorentini quelli del Pci. Una traccia utile. Rara avis.Ma nel 1956 che cosa accadde in città, dopo il rapporto Krusciov e la tragedia ungherese? Pensare che a Livorno si ebbe uno sciopero promosso dalla Cgil di Di Vittorio. E perché non furono accolte le dimissioni di Furio Diaz dal Pci, come aveva suggerito Togliatti, e si preferì la classica espulsione per indegnità? E i 40 giorni di sciopero (o furono di più) al Cantiere nel 1955 proprio mentre alla Fiat la Cgil subiva una storica batosta? Poi venne il "nobile compromesso" che nei primi anni ’60 vide il drastico ridimensionamento proprio del Cantiere ma in cambio si ebbe la nascita della Cmf, azienda di carpenteria metallica. E la vicenda degli scontri con i paracadutisti, durante il governo Tambroni? Per tacere della drammatica divisione nel Pci nel 1966, che vide contrapposti quanti si riferivano al segretario Bernini e il gruppo dirigente storico Raugi-Badaloni-Giachini.
Coltivare la memoria
Domande sparse, anche arruffate, con qualche errore di troppo. Una provocazione. Il punto è che non esiste nessuna ricostruzione storica neppure approssimativa delle vicende sociali, economiche e politiche degli ultimi settanta-ottanta anni. Non c’è memoria storica, né apologetica, né cronachistica, né critica. Una città senza memoria, senza storia, è come il famoso smemorato di Collegno che si chiedeva: ma io chi sono? Bene, noi chi siamo? La prematura scomparsa di tanti protagonisti, che con tutte le loro benemerenze non hanno lasciato memoria di sé, certamente aggrava questa situazione. Uniche eccezioni le autobiografie di Bruno Bernini e Augusto Simoncini. Stop. Ma è un fatto che senza un indizio di identità, è ben difficile per tutti costruire il futuro. Chi raccoglierà questa sfida? O dovremo rassegnarci a rimanere senz’anima? Possiamo sperare che qualcuno cominci a porvi rimedio? Potrebbe fare la sua parte il nostro Comune. Come? Per esempio stanziando 100mila euro (spalmati su un biennio del resto necessario per la ricerca) per finanziare cinque progetti da affidare, attraverso l’Istoreco, a giovani storici che studino cinque fasi cruciali che coprano i cinquanta anni di vita pubblica fino almeno al 2000. E su questa base creare le condizioni per una storia critica da affidare con un altro finanziamento ad hoc ad un valente studioso sempre sotto la guida di Istoreco. E’ chiedere troppo? Non è cultura anche questo?