Livorno, addio a “Fragola”: era il presidente del circolo di Shangai
Aveva 50 anni. La sua gestione del circolo a qualcuno non era piaciuta e una notte, nel 2020, spararono un colpo di pistola contro la vetrata
LIVORNO. Francesco Montigiani, “Fragola” per i suoi tantissimi amici, ha lasciato Shangai. Per la prima e ultima volta nei suoi 50 anni di vita praticamente tutti trascorsi nel quartiere dove era nato e vissuto.
All’una di ieri l’ha portato via in poco tempo uno di quei mali che neanche lui, con tutta la sua forza e la sua carica di ottimismo è riuscito a sconfiggere. Francesco era il presidente del circolo Arci Fratelli Gigli, nessuno meglio di lui poteva dirigerlo. Con fermezza, durezza anche: «Quando ci vuole ci vuole», diceva sinceramente.
La sua gestione, impostata a dare dignità al quartiere attraverso un punto di aggregazione per tutti, famiglie e bambini a qualcuno non era piaciuta e una notte, nel 2020, a titolo di avvertimento, spararono un colpo di pistola contro la vetrata. «Ma non mi spaventano – diceva Francesco Montigiani – Ne ho viste tante nella mia vita».
Una esistenza non facile, segnata dalla morte del padre che adorava quando aveva appena 14 anni. «Non mi sono mai rassegnato – raccontava –. Tantissime volte la notte mi svegliavo, uscivo di nascosto e, scavalcati i cancelli del cimitero dei Lupi, andavo a piangere sulla tomba del mio babbo».
Poi è stata la dura vita della strada di un quartiere dai mille problemi. Francesco era un ottimo fabbro. Sapeva piegare i metalli, dare forma e far diventare opere d’arte dei rozzi pezzi di ferro, come facevano i vecchi artigiani di un tempo. Ha lavorato fin da piccolo, per imparare il mestiere e poi per vivere. Ma era un artista. E come tale non era sempre facile usufruire del suo talento. Che si trattasse di un semplice cancello o di un lavoro più complesso doveva piacere a lui e doveva venire come voleva lui. Era un duro, Francesco. O almeno questa era l’immagine che trasmetteva per nascondere una straordinaria sensibilità e bontà che, in certi ambienti, può essere interpretata come debolezza.
E lui debole non era né voleva esserlo né – soprattutto – apparire. Neanche nella vita sentimentale. La sua vita è stata costellata di molti amori perché piaceva tanto alle donne. Spavaldo e spaccone come si addice ad un vero “duro” – così gli aveva insegnato la strada.
Ha avuto una lunga, appassionata, convivenza. E con i figli prima eppoi nipoti della sua compagna, si è comportato come un padre ed un nonno amorevole e sincero. «Nella vita ho visto tante cose brutte, ho fatto tanti errori. Con l’esperienza che ho maturato cerco di insegnare ai ragazzi a non ripetere certi sbagli. Per farli crescere sani e anche felici. Fermo restando che sbagliare è umano e che tutti hanno anche il diritto di commettere errori».
Amava la mamma, Carla che in questi ultimi mesi – il male ha lavorato velocemente - l’ha seguito praticamente ogni ora del giorno e della notte. «Mi dispiace tanto per lei. E’ stata tanto dietro a babbo ed ora deve seguire me. Ed anche dei dispiaceri che sto dando a tutti i miei amici. Comunque tranquilli che mi riprenderò – diceva per far coraggio, lui, a tutti ed anche perché ci credeva –. Ho dei progetti, delle cose importanti da fare… Non mollo davvero». La mamma e gli amici lo ascoltavano. E lo colmavano di premure. Prima delle curie palliative, costretto su una sedia a rotelle si faceva portare fuori, per le vie di Shangai. Con la sedia a rotelle ma col sigaro in bocca. «Perché la malattia, la morte non mi fanno paura. Combatto e non mi arrendo». Come quando da piccolo un prepotente di quartiere, noto malavitoso, lo voleva umiliare. Anche allora disse: «Non mi spaventi. Lo so che mi puoi spaccare dalle botte e mandare all’ospedale. Ma quando esco mi compro una “bimba” (in gergo: un pistola, ndr) e ti faccio fuori».
Quel giorno il prepotente si spaventò e non successe nulla. Stavolta neanche la “bimba” sarebbe bastata.