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Moby Prince, De Falco: «Morirono solo perché nessuno andò a salvarli»

Sandro Lulli
Moby Prince, De Falco: «Morirono solo perché nessuno andò a salvarli»

Livorno, il comandante ed ex senatore del M5s: «Alle 23.30 l’equipaggio dell’Agip Abruzzo era in porto. E il traghetto?»

20 novembre 2022
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LIVORNO. Dopo la caduta del governo Draghi ha lasciato il “Transatlantico” di Montecitorio ed è nuovamente salito a “bordo” della Marina Militare. E così il comandante Gregorio De Falco, ex senatore dei 5 stelle, poi espulso e confluito nel Gruppo Misto, ha ancora l’opportunità di fare ciò che ama e che lo rese famoso il 13 gennaio 2012, quando inchiodò Francesco Schettino alle proprie responsabilità, poco dopo la manovra scellerata con la quale aveva mandato la Costa Concordia a schiantarsi sugli scogli dell’Isola del Giglio. Ora De Falco si trova alla base di Nisida, Napoli, sede del comando logistico della Marina. Spiega: «Sono tornato in servizio, ma sono ancora in attesa di un impiego».

Comandante, e la politica?

«Sto continuando nell’impegno politico, sulle tematiche concrete, ma in modo avulso dai partiti e dagli schieramenti politici esistenti, e non solo perché, sono un militare in servizio, ma anche perché le formazioni politiche oggi sono entità esponenziali non di ideologie, bensì di singole personalità dominanti, quelle dei segretari, dei capi partito o capi corrente e questi non sono interpreti di un mandato democratico, ma esprimono solo la propria volontà di potere, senza vincolarsi ad alcun ideale»

Dei 5stelle che ricordo conserva?

«I 5 stelle sono stati e sono la plastica rappresentazione di ciò che è il “sistema politico”, ovvero una mistificazione della logica democratica, per cui loro dopo aver (mal) governato con la destra e la sinistra, quando si sono accorti di perdere identità e consenso si sono risoluti a cambiare ancora una volta pelle, scoprendo che l’estetica in questo Paese paga più della politica. I 5 stelle a mio avviso sono stati dannosi soprattutto per la disillusione che hanno creato nell’elettorato verso la democrazia di questo Paese».

Il suo impegno per cercare la verità sui 140 morti della Moby Prince resta inalterato?

«Certamente. La ferita è ancora aperta. Da tempo offro collaborazione ai parenti delle vittime e alle associazioni che chiedono giustizia da oltre 31 anni»

Comandante, ha mai pensato se quella maledetta notte del 10 aprile ci fosse stato lei a dirigere le operazioni, come accadde per la Costa Concordia?

«Nel 1991 ero un giovane di ventisei anni. In quel periodo mi sono laureato in Giurisprudenza e poi, da Ufficiale delle Capitanerie, ho cominciato a fare esperienza di soccorso marittimo, a Santa Margherita Ligure, Genova, Mazara del Vallo e quindi a Livorno, dove appunto ho dovuto coordinare i soccorsi in occasione del naufragio della Costa Concordia. Purtroppo non riuscimmo ad evitare la tragedia: 32 morti e 110 feriti, per non avere ottenuto collaborazione dal Comando di bordo. ..»

E se lei avesse raccolto l’Sos della Moby?

«L’incidente occorso al Moby Prince era una collisione, come fu subito detto via radio nel richiedere soccorso, da parte della nave investita, l’Agip Abruzzo. Una collisione è un sinistro marittimo in cui sono coinvolte 2 navi. Ma solo di una si seppe subito nome e posizione. Quindi, prima ancora di effettuare il soccorso, occorreva che chi coordinava acquisisse lo scenario operativo per poter poi disporre l’impiego delle risorse disponibili nel modo più opportuno allo scopo, prioritario, di salvare la vita umana e poi dopo, eventualmente le navi ed il carico dell’Agip. Era necessario evitare che tutti i mezzi dirigessero verso la petroliera, ma dovevano essere diretti alla ricerca dell’altra nave coinvolta..».

Dunque...

«Dunque, sempre allo scopo di ottenere conoscenza dello scenario in atto, sarebbe stato importante disporre una ricognizione da terra, poiché dalla terrazza Mascagni si vede sia il porto, sia la rada di Livorno. Come accertato dalla commissione di inchiesta del Senato, la Commissione Lai, era una serata con ottima visibilità e una nave di 130 metri in fiamme non si poteva non vedere. Inoltre vi erano una decina di navi alla fonda alle quali si sarebbe dovuto chiedere di effettuare ricerche ottiche e strumentali, con i radar. E d’altronde anche l’Agip Napoli aveva sollecitato l’intervento della Capitaneria...».

Altre mosse?

«Come previsto dal DM 1 giugno 1978, e come d’altra parte il Comandante in seconda stava già facendo fino all’arrivo del Comandante che invece lo esautorò, poiché si trattava di un evento che configurava una seconda situazione operativa, la Capitaneria di porto avrebbe dovuto cedere il coordinamento all’alto Comando Marittimo di La Spezia. Infatti all’epoca era diverso da oggi, il soccorso marittimo era allora una funzione della M.M. alla quale concorrevano le singole Capitanerie come organo militare dipendente, e non come articolazione dell’amministrazione della Marina Mercantile. E la Marina Militare a La Spezia, ogni giorno, aveva un elicottero ed una nave in servizio SVH. La nave investitrice, il Moby, si sarebbe potuta individuare e trovare in breve tempo ed i soccorsi avrebbero potuto essere indirizzati, in modo tempestivo, sulla nave da passeggeri. Teniamo pure conto che, sempre la Commissione del Senato aveva accertato che la sopravvivenza a bordo si era protratta per alcune ore. Altro che morti tutti in mezz’ora! ».

Comandante, soccorsi inesistenti, perché secondo lei?

«Incapacità nelle prime ore, credo. Ricordo a suo tempo la precisa denuncia dell’allora ispettore generale delle Capitanerie, l’ammiraglio Giuseppe Francese: in una lettera riservata al ministro, egli scriveva che il coordinamento dei soccorsi si manifestò solo dopo le cinque del mattino. Ma la collisione risaliva alle 22, 25...»

Tutti a soccorrere l’Agip Abruzzo, nessuno a cercare la Moby Prince...

«Questa è la triste realtà: a bordo della petroliera tutti salvi (carico compreso) , mentre a bordo della Moby tutti morti, salvo uno che si era salvato da sè».

Un altro marinaio aveva cercato scampo gettandosi in mare, era il barista di Pizzo Calabro Francesco Esposito, 43 anni, ma sottobordo non c’era nessuno, morì annegato.

«Vero. L’orologio del povero Esposito era fermo alle 6 del mattino. Il suo corpo venne ritrovato verso le 9,30 da una motovedetta della Guardia di Finanza. Ma c’è anche un altro aspetto rilevante..».

Spieghi pure

«Un medico aveva dichiarato che il suo cadavere era impregnato di nafta. Potrebbe essere che il medico avesse detto nafta per idrocarburi, ma è anche vero che a bordo dell’Agip Abruzzo doveva esserci solo prodotto greggio, Iranian Light»

Quindi?

«Chi ha sentito le registrazioni di quella notte ricorda certamente che il Comandante della petroliera, Superina, richiamando concitatamente i soccorritori specificava più volte che attorno alla sua nave vi era nafta dappertutto. E Superina non confondeva il greggio con la nafta. E allora, se era nafta le ipotesi sono due: o era materiale perso da un altro mezzo nautico coinvolto, in tal caso la famosa bettolina-ombra, oppure era fuoriuscito dall’Agip Abruzzo.»

Però è difficile rassegnarsi a quelle “non operazioni” di salvataggio

«Fa male già soltanto ricostruire quei momenti. e aggiungo: alle 23,30 i 32 membri dell’equipaggio dell’Agip Abruzzo erano già in salvo, ma gli sforzi rimasero tutti concentrati su quella nave e sul suo prezioso carico. A quell’ora a bordo del traghetto erano ancora in vita in molti...»

Il comandante della Capitaneria, Sergio Albanese, dinanzi alla Commissione di inchiesta del Senato sostenne che, poiché da bordo nessuno si era lanciato in mare (e non è vero) si era dovuto ritenere che laddove non vi è una via di fuga, non vi potesse nemmeno essere una via di ingresso.

«Ma si tratta di un falso sillogismo, una dichiarazione grave, una grande sciocchezza un tentativo di mistificazione: i passeggeri erano radunati nel salone Deluxe con molta parte dell’equipaggio ed ovviamente non avevano indumenti di protezione per uscire allo scoperto. Diversamente, i vigili del fuoco avevano respiratori, tute ignifughe e tutto ciò che è utile per crearsi una via d’ingresso. Inoltre, avrebbero potuto utilizzare i rimorchiatori sia per trasportare i vigili del fuoco, sia per irrorare la nave ed aprire una via d’ingresso ai soccorritori con una pioggia d’acqua. Era chiaro che il tempo c’era, poiché il salone Deluxe, come in ogni nave da passeggeri, era costruito per resistere al fuoco per molto tempo. E date le condizioni, si doveva ritenere che vi fosse ancora vita a bordo».

Ci sono state due commissioni d’inchiesta, una al senato sotto la presidenza di Lai, l’altra alla camera con presidente Romano: entrambe hanno fatto emergere verità.

«Diciamo che la prima, con un gran lavoro, dopo aver accertato che la sopravvivenza a bordo si era protratta per ore, aveva conseguenzialmente messo in luce le circostanze e le responsabilità della morte delle 140 vittime, evidenziando che si era abdicato al dovere di effettuare o almeno tentare di effettuare i soccorsi da parte del coordinatore. Per inciso va detto che la Commissione Lai aveva anche accertato che non c’era nebbia, per quanto sarebbe stata comunque irrilevante. L’altra Commissione, quella della Camera, è servita di certo a tenere alto l’interesse sul caso, ha puntato a ipotizzare una dinamica della collisione e quindi perché la Moby abbia deviato dalla propria rotta».

Questo governo avrà l’interesse per creare una nuova commissione?

«Sono davvero scettico al riguardo. Nella convinzione che potesse essere utile, avevo depositato un ddl per istituire una commissione bicamerale di inchiesta, ma si preferì una Commissione monocamerale, con una delibera. Una bicamerale, invece, deve essere istituita con legge e non solo non è limitata alla durata della legislatura, al raggiungimento del suo obiettivo, ma inoltre, possono essere stabiliti oltre gli obiettivi anche gli effetti degli atti prodotti dalla commissione. E si può stabilire che per quanto ritenuto accertato, la ricostruzione dei fatti operata dalla commissione, faccia stato, come una sentenza penale» .

Su cosa punterebbe?

«La strage fu determinata dalla mancanza del doveroso soccorso. Nessuno era morto per la collisione, quindi anche l’accertamento delle cause nautiche e della dinamica è fine a se stesso; le 140 vittime persero la vita perché nessuno andò a salvarli».

L’Inchiesta aperta dalla Procura di Livorno oltre tre anni fa deve viaggiare per forza alla ricerca di reati non prescrivibili...

«L’unico reato non prescrivibile è la strage e la abdicazione al dovere del soccorso che si doveva ritenere utile e possibile, date le circostanze, a mio parere non si può chiamare diversamente»

Comandante, ci crede in un nuovo processo?

«Questa è la speranza: con il processo che è stato celebrato tra nebbia e commorienza di tutte le vittime in ogni parte della nave in meno di 30 minuti, i 140 furono uccisi due volte. Ora, per una volta, grazie alla politica, i tempi sono maturi e la verità è nota: si può dare pace e Giustizia a quei poveretti e ai loro parenti».


 

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