Livorno, addio al gentiluomo iraniano: chi era l'ex ammiraglio Majidi
Animo nobile d’altri tempi eppure così moderno e aperto. Dopo Khomeini era diventato livornese fra charme e tappeti
LIVORNO. Aveva un cuore spalancato sul mondo: si è fermato per sempre a poche settimane dal giorno in cui avrebbe spento 91 candeline, lo stesso giorno in cui lo fanno due icone come Martin Scorsese e Carlo Verdone. Ma di Shoaollah Majidi, che tutti conoscevano come Shoa, resterà questa capacità di guardare lontano con gli occhi sul mappamondo anche quando ormai era molto anziano e gli si sarebbe potuto perdonare un fisiologico rinchiudersi su sé stesso. Del resto, lui musulmano aveva accettato di crescere i figli come cattolici e uno di loro, Karim, è diventato sacerdote salesiano fino a fare l’interprete del Papa durante i colloqui in Vaticano. Non solo: era stato ammiraglio della flotta dello Scià e numero due dello Stato maggiore ma la sua formazione nelle accademie militari e nelle università di mezzo mondo gli avevano aperto la mente alla pluralità delle culture.
Shoa Majidi ha vissuto molte vite insieme raggruppate in un’unica straordinaria parabola umana: basti dire che i cinque figli sono nati in varie città (il più grande Bijan a Livorno, poi Susan a Abadan che sta a una spanna dal Kuwait, quindi Karim a Genova, infine Mariam e Darya a Teheran. Ma il “prima” e il “dopo” hanno a che fare soprattutto con il momento in cui lascia per sempre Teheran: dopo l’ascesa dell’ayatollah Khomeini, dopo aver conosciuto il carcere, dopo che la guida suprema Ali Khamenei gli chiede consigli per la guerra all’Iraq ma lui ribatte che vuol solo andare da sua moglie a Livorno.
Livorno non era stata una scelta a caso per la sua nuova vita: era qui che aveva frequentato l’Accademia navale; era qui che aveva conosciuto la moglie Pia de Persico, profuga istriana; era qui che dopo la guerra aveva messo radici la famiglia di lei. Ma lei poco più tardi muore e Shoa Majidi si ritrova vedovo con cinque figli da crescere e una vita da reinventarsi lontano dall’Iran.
È un cittadino del mondo e trova la sua strada nel commercio dei tappeti, poi sposerà Giovanna Scanzo che gli è stata al fianco nella seconda metà della sua esistenza. Era un gentiluomo di antiche maniere, dice la figlia Darya citando due episodi. L’uno: «Al ricevimento dei prof si presentò a una insegnante facendole il baciamano». L’altro: «Dava una mano a tanti povericristi ma in un modo tutto suo: elemosina ma con dignità, dandogli un appuntamento come con gli amici». È proprio lei a ricordare che nei riguardi dei figli e delle giovani generazioni «era un mentore: spronava a impegnarsi nella propria formazione per poi buttarsi nella vita a viso aperto. L’ha fatto con noi figli, l’ha fatto con i nipoti». La sua apertura mentale lo rendeva «accogliente e generoso».