Livorno

Ca' Moro affondato, le lacrime dei ragazzi disabili: «Quel ristorante era tutta la nostra vita»

Stefano Taglione
Le lacrime dei ragazzi del Parco del Mulino (foto Daniele Stefanini/Silvi)
Le lacrime dei ragazzi del Parco del Mulino (foto Daniele Stefanini/Silvi)

Livorno, nella cooperativa del Parco del Mulino lavoravano come camerieri: "Il nostro morale è a pezzi, ma ripartiremo"

21 agosto 2021
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livorno. «Il morale è a pezzi, sotto i piedi. Io ho lavorato sia qui, sulla barca, che nella pizzeria. Mi piange il cuore, ma devo reagire: dobbiamo ripartire. A volte, sul “Ca’Moro”, facevamo pure il secondo turno a cena da quanta gente voleva venire a mangiare. Non possiamo che ripartire più forti di prima».

A parlare è Gianni Pietra Caprina, uno dei ragazzi che lavoravano nel ristorante galleggiante del Parco del Mulino, in piazza del Pamiglione. «Quando è affondata non c’ero – racconta – l’ho scoperto solo stamattina (ieri per chi legge ndr) da mio padre. Siamo sotto choc». Stesso umore per Federico Parlanti, 45 anni e fin dall’inizio dell’avventura imprenditoriale valido cameriere. «Me l’ha detto mia sorella poco dopo e non ci potevo credere – dice – poi ho letto ciò che aveva scritto Daniele Tornar (un consigliere della cooperativa ndr) e ho continuato a rimanere senza parole. Mi viene da piangere, siamo rimasti tutti senza stipendio».

Edoardo Moscato, 25 anni, è a bordo dal luglio del 2016. Praticamente da quando il “Ca’ Moro” si è trasformato nel peschereccio-ristorante più amato dai livornesi: «Fino all’ultimo ho sperato che riuscissero a salvarlo, a tirarlo su – racconta con un filo di voce – e spero ancora che si possa fare qualcosa. Io ero cameriere, questo è il lavoro che voglio fare per tutta la mia vita».

Davide Tornar è il figlio di Daniele. E ha le idee chiare: «Facciamo sapere su tutti i canali televisivi che abbiamo bisogno di aiuto – dice – così raccoglieremo tutti i soldi che ci servono. Questa barca è vecchia, è marcia. Ne serve una nuova. Mi appello ai livornesi e a tutte le persone che mi leggono: aiutateci. Abbiamo bisogno di voi. Non possiamo concludere qui la nostra esperienza».

S. Tag.

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