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Alluvione a Livorno
La ricostruzione

Alluvione a Livorno, dalla tragica notte all'inchiesta: il dossier

testi di Alessandro Guarducci e Federico Lazzotti
Alluvione a Livorno, dalla tragica notte all'inchiesta: il dossier

Cosa è successo tra il 9 e il 10 settembre 2017. Chi sono le nove vittime. Come si è mossa l'amministrazione e la protezione civile. A che punto è l'inchiesta. I volti dei giovani che hanno imbracciato le pale e spalato il fango. Ecco il racconto con foto, video, mappa e timeline

12 maggio 2022
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LIVORNO. Acqua e fango si sono presi l’anima di Livorno in una notte in cui la città era distratta, indifesa, impreparata, uia, sola. È accaduto la notte tra il 9 e il 10 settembre 2017, con la città ancora “in vacanza”. Le scuole non hanno ancora ripreso le lezioni e gli stabilimenti balneari sono sempre aperti. Sembra essere un giorno come tutti gli altri quel sabato. Anzi no, c’è qualcosa di diverso, c’è qualcosa che non va. A Livorno, di solito, nei giorni di fine estate ci si gode ancora il mare, tuffandosi nell’acqua che il sole estivo ha riscaldato, prolungando ancora la tintarella e trascorrendo la serata in qualche locale sul lungomare. L’autunno a Livorno è ancora lontano, ma non quel 9 settembre 2017. Il cielo è infatti grigio e le nubi sono basse e minacciose, quasi volessero schiacciare a terra la città. C’è anche un allarme meteo arancione (fenomeni moderatamente forti) diramato dalla Protezione civile regionale e subito amplificato da quella comunale.

Ma nessuno ci fa caso più di tanto. Né gli addetti alla sicurezza e all’emergenza (non scatta neppure l’allerta telefonica ai cittadini) né tanto meno i livornesi. Che vuoi che sia, si pensa, del resto anche il fine settimana precedente c’era stata una analoga allerta ma non era successo nulla. Anzi, la domenica era perfino uscito il sole e c’era chi si era divertito a scattare selfie e a pubblicarli su Facebook per farsi beffa del cattivo tempo che era stato annunciato e che non era arrivato. E poi le previsioni del tempo dicono che se pioverà, magari forte, lo farà la mattina di domenica 10 settembre tra le 8 e le 13. Dunque, perché preoccuparsi? E invece, stavolta, c’è da preoccuparsi eccome: su Livorno, di lì a poco, si sarebbe scatenata una tempesta di pioggia, fulmini e vento che non ha uguali negli ultimi decenni della storia della città e che nel giro di poche ore, in quella drammatica notte tra il 9 e il 10 settembre, lascerà dietro di sé danni per decine e decine di milioni di euro e nove morti: Simone 37 anni, sua moglie Glenda, il figlio Filippo di 4, nonno Roberto 65 anni, Martina, 34, Matteo 22, Roberto 74 anni, Gianfranco 67 anni, Raimondo 70 anni. E il tragico bilancio dell’alluvione di Livorno.


Foto a confronto: prima e dopo l'alluvione, a distanza di un mese





10 settembre 2017: la notte della tragedia

Tutto ha inizio intorno alle 20 di quel sabato 9 settembre, quando inizia a cadere la pioggia che si fa sempre più intensa. Le fulminazioni illuminano continuamente il cielo, mentre il sinistro rombo dei tuoni fa davvero paura. E’ un temporale violento e poco dopo il sottopasso di via Firenze, alla periferia nord di Livorno, si allaga nonostante l’idrovora che viene posizionata lì tutte le volte che c’è una allerta. La pioggia non smette, mentre le caditoie e le bocche di lupo – costruite da rifiuti e foglie secche – non riescono a smaltire l’acqua: le principali strade di scorrimento si allagano ma i livornesi a queste cose ci sono abituati e – magari imprecando - si aspetta solo che passi la bufera. Invece continua a venire giù l’acqua.

Alle 21,39 scatta il primo allarme dal centro regionale: notano che i pluviometri posizionati a Livorno si alzano rapidamente e quindi parte la telefonata alla protezione civile livornese. “Ma cosa sta succedendo lì da voi?”, domandano i tecnici della sala operativa di Firenze che non si aspettavano una simile precipitazione. “C’è un temporale molto forte, soprattutto nella zona nord della città. Per ora la situazione è sotto controllo”, è la risposta della protezione civile livornese. E in effetti poco dopo le 22 il temporale si placa, la pioggia diminuisce di intensità, fulmini e tuoni si allontanano. Il peggio sembra passato. Ma non è così. Anzi. Poche ore più tardi, l’allarme nella sede della Protezione civile scatterà di nuovo e suonerà più volte in quella notte maledetta.

Durante la tempesta di pioggia cadranno infatti 175 millimetri di acqua in centro e ben 256 in collina, dei quali 210 tra le 1.45 e le 3.45. Più della quantità di pioggia registrata a Livorno nei precedenti otto mesi, come sottolinearono subito i meteorologi per evidenziare l’eccezionalità del fenomeno.

E’ drammatico il racconto del funzionario della Protezione Luca Soriani che poco dopo le 4 del mattino si trova sul Rio Maggiore, ormai prossimo allo straripamento, e segnala ai vigili del fuoco che il livello delle acque è critico. Passano meno di due ore e la zona sud della città viene travolta da quattro onde di fango in altrettanti punti. E’ lo tsunami del dolore. In pochi minuti vengono spazzate via case, ricordi e vite umane.

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Le 9 vittime: dalla famiglia intera alla neosposa

Filippo Ramacciotti aveva 4 anni. Sabato pomeriggio, poche ore prima della tragedia, nel grande giardino di casa, all’angolo tra viale Nazario Sauro e via Rodocanacchi, un palazzotto in stile Liberty tra lo stadio e l’Accademia navale, aveva festeggiato il compleanno.

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C’erano alcuni dei suoi compagni di asilo del Santo Spirito,un po’ di amici dei suoi genitori Simone Ramacciotti, 37 anni, e Glenda Garzelli, 36. Babbo e mamma stavano insieme dal liceo, erano una coppia che aveva attraversato tutta l’adolescenza a braccetto, fidanzati da una vita. Felici. Dopo l’università, la gavetta attraverso gli stage e il lavoro: lei nello studio di commercialista Guerrini Vitti a Livorno, lui con il padre Roberto all’agenzia di Empoli delle assicurazioni Generali dopo essersi fatto le ossa a Milano. Si erano sposati nel 2011 e avevano ristrutturato con amore e stile quel nido nella villa con torretta a pochi passi da Barriera Margherita, vicino al lungomare, nella quale abitavano proprio sotto ai genitori di Stefano, Roberto, 65 anni, e Paola, assieme al figlio Filippo e alla piccola Camilla, l’unica ad essere stata salvata dalla casa diventata una trappola di fango. Ad estrarla viva è proprio il nonno Roberto, che la affida a un vicino che era accorso per soccorrere la famiglia Ramacciotti.

Raimondo Frattali, 70 anni, era in pensione dopo aver ricoperto per anni il ruolo di direttore della filiale della cassa di Risparmio di Firenze in via Grande: originario di Camaiore, si era trasferito a Livorno dopo il matrimonio. La notte dell’alluvione è riuscito a mettere in salvo sua moglie Cristina, la figlia Francesca e il genero Stefano, che abitavano con lui, aiutandoli a salire sul tetto della villetta di via della Fontanella: lui non è riuscito a fuggire in tempo ed è morto annegato. Aveva sentito un rumore ed è sceso nella taverna della sua palazzina in via Sant’Alò, Roberto Vestuti, 74 anni. Non è più tornato su. Nato a Carrara, ma livornese d’adozione, Vestuti aveva lavorato per una vita come meccanico. Era sposato da quasi 50 anni con Luisa Matteini, conosciutissima in città per la panetteria che gestiva in via Nardini. Amava la neve e lo sci: è per questo che la moglie ha voluto avvolgerlo in una bara bianca. Martina Bechini, 34 anni, era una donna felice: si era sposata meno di due mesi fa, il 15 luglio. Da poco era tornata dal viaggio di nozze tra il Giappone e le Isole Figi con l’uomo che amava, Filippo Meschini. Quasi all’alba di domenica il Rio Ardenza li ha sorpresi. Li ha trascinati via, insieme. Quando dopo alcune ore Filippo è stato ritrovato vivo, due chilometri più in là, vicino al mare, si è accesa una speranza anche per lei. Ma la loro favola ha avuto il peggiore degli epiloghi. Al funerale Martina ha indossato di nuovo il vestito da sposa. «Caro babbo, cara mamma - aveva scritto in una lettera inviata ai genitori dal Giappone, che la sorella ha letto in chiesa nel giorno dell’addio -. Il mio più grande desiderio è creare una famiglia solida e felice come siete riusciti a creare voi».

Gianfranco Tampucci, 67 anni, imprenditore edile da generazioni, con la ditta del padre aveva costruito i Rex. E aveva tirato su la fattoria a Collinaia divisa in tre appartamenti, dove viveva con le sorelle Mara e Alba, il nipote e un cugino. Allevava polli, conigli, coltivava l’orto e la vigna. Volontario da 25 anni di un canile al Corbolone, è lì che aveva trovato la cagnolina Lucy, per salvare la quale quella notte è uscito di casa e non è più tornato. Nel bilancio dell’alluvione c’è anche il dramma della famiglia di Matteo Nigiotti, 22 anni da compiere, deceduto lungo l’Emilia in uno scontro frontale. Faceva il barman dopo essersi diplomato all’alberghiero. Stava tornando da una notte di lavoro. In tasca aveva un biglietto di sola andata per Londra: sognava di servire cocktail a Piccadilly Circus. Ma la sua valigia resterà chiusa in un armadio.

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I dubbi: dal mancato codice rosso al telefono isolato del sindaco

Nella notte che ha cambiato per sempre il volto di Livorno, una cosa è certa: il sindaco Filippo Nogarin, per sua stessa ammissione, è stato informato del disastro solo alle 6,46 di domenica, quando ormai il nubifragio si era allontanato per lasciare dietro di sé morti e devastazione. E un’altra sembra emergere con chiarezza dallo scambio di messaggi e bollettini meteo tra il Centro di monitoraggio della Regione e la Protezione civile del Comune di Livorno: fra le ore 3 e le 4 della notte tra sabato e domenica, quando il personale di servizio ha accertato che il rio Maggiore sta per straripare, non è scattato alcun allarme particolare per la popolazione, soprattutto per le 2.639 persone che abitano nella zona a rischio esondazione di quel corso d’acqua e che pertanto sono inserite in un apposito elenco della Protezione civile. Non hanno ricevuto telefonate di allerta, non sono stati avvertiti con l’uso del megafono o delle sirene in modo da richiamare la loro attenzione, non sono stati svegliati suonando il campanello. Eppure quel rio “tombato” stava già invadendo strade, scantinati, garage, case. Era una evidente situazione di grave pericolo e come tale imponeva ai poteri locali di avvertire i cittadini in modo che potessero mettersi in salvo e magari salvare le proprie cose. Regione e Comune. L'allerta meteo diramata dalla Regione era arancione e non rossa - si difende Nogarin- per questo non ha allertato i cittadini.

Il bilancio all’alba di domenica si è rivelato, come purtroppo sappiamo, catastrofico. E solo a quel punto la macchina dell’emergenza comunale è riuscita ad avvertire il sindaco. «Il referente – si legge nel report degli uffici comunali - constatata la materiale impossibilità di poter effettuare alcun intervento con le attrezzature a sua disposizione in tali condizioni meteo», si dirige proprio nella sede dei pompieri, dove resta fino alle 7.30, «per poter meglio coordinare» le squadre e le pattuglie sul campo: gli interventi di soccorso tecnico urgente a quel momento risultavano essere centinaia. Da qui, tra le 4,10 e le 7,30 «segnala l'evolversi della situazione sia al dirigente della Protezione civile Pucciarelli sia al sindaco», attivando telefonicamente tutte le associazioni di volontariato mettendo a disposizione tutte le risorse disponibili. Ma già qui la ricostruzione ufficiale fornita dal Comune non coincide con quella del primo cittadino, responsabile della sicurezza in qualità di sindaco, che precisa: «Io sono stato avvertito del disastro per la prima volta dal mio capo di gabinetto, Massimiliano Lami alle 6,46». C’è da aggiungere che secondo quanto riferito da Nogarin, nelle ore del temporale il suo telefono non era raggiungibile: pare che nella zona dove abita non ci fosse “copertura”. Ma di fronte alla tragedia che si stava consumando in città, la Protezione civile avrebbe potuto mandare qualcuno a casa del sindaco per svegliarlo. Il comandante della polizia municipale e dirigente della Protezione civile, chiamato in causa, però non ci sta e contesta la ricostruzione fatta nell’ultima parte del comunicato. «Non ho mai ricevuto alcuna telefonata nell’orario indicato nel comunicato - dichiara - e ho subito chiesto al sindaco, al portavoce e al responsabile dell’ufficio stampa di rettificare questa notizia che non è vera. Nessuno mi ha chiamato tra le 4 e le 7,30». Dunque, durante il nubifragio sia la protezione civile che i volontari delle associazioni sono stati operativi. E questo basta al sindaco per autoassolvere la macchina comunale della prevenzione e dei soccorsi. «La Protezione civile ha saputo reagire di fronte a un evento eccezionale e dalla portata distruttrice, che non era possibile prevedere e nemmeno arginare. Io credo che, alla luce del repentino cambio di condizioni meteo rispetto alle previsioni, sia stato fatto tutto ciò che era umanamente possibile per ridurre l’impatto sulla città. Ci sono state negligenze da parte di qualcuno? No. Qualcosa poteva essere fatto diversamente? Forse sì. Sarebbe cambiato qualcosa? Nessuno può dirlo».

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L'inchiesta: un pool di ingegneri per capire le responsabilità

Una tale sicurezza sembra fare a pugni con tutti gli interrogativi che circondano ancora gli eventi di quella notte. Interrogativi che sono al vaglio della magistratura che ha aperto un’inchiesta, ancora contro ignoti, per disastro colposo e omicidio colposo. Molti gli aspetti sui quali si stanno concentrando gli investigatori coordinati dai sostituti procuratori della Repubblica di Livorno, Giuseppe Rizzo e Antonella Tenerani. A cominciare proprio dalla gestione dell’emergenza e dalla mancata evacuazione dei cittadini presenti nella lista delle persone residente nelle zone alluvionabili. Ma non solo, perché il pool di cinque ingegneri ai quali è stata affidata la consulenza per ricostruire l’alluvione dovranno anche verificare il funzionamento delle casse di espansione che avrebbero dovuto evitare l’esondazione del Rio Maggiore e la manutenzione degli altri corsi d’acqua che dalla collina scendono fino al mare.

Mentre dai primi accertamenti appare difficile contestare eventuali abusi edilizi poiché gli eventuali reati sono molto lontani del tempo. Anche il Comune, da parte sua, ha aperto due procedimenti interni per ricostruire la tragedia. In particolare una commissione d’indagine sull’attività del sindaco e dell’amministrazione comunale e l’altra per analizzare le proposte politiche di miglioramento del sistema di protezione civile. Un mese dopo quella tragica notte, il fango che ha coperto la città è praticamente sparito da strade, garage, palazzi e volti. Ma non potrà mai essere cancellato dai ricordi di una notte maledetta.

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Bimbi motosi: i soccorsi dei volontari in mezzo al fango

Li hanno ribattezzati “bimbi motosi”, d’altronde le etichette ce le mettiamo da soli e “angeli del fango” non rendeva l’idea. Perché a Livorno che tu abbia un anno o cento, resti un bimbo in eterni e il fango tra Quercianella e il ponte del Calabrone, si chiama mota. Sono la faccia della speranza dentro alla tragedia dell’alluvione. Nei giorni del dolore in mezzo al fango hanno indossato stivali, imbracciato pale, trasportato secchi e carriole e così hanno aiutato tutte quelle persone travolte e messe in ginocchio dall’onda della disperazione.

Su questi ragazzi e ragazze, sporchi e bellissimi, faranno un calendario con le loro facce, potere dei social network che spesso distraggono ma qualche volta aiutano. “Bimbi motosi” è anche una pagina Facebook nata per dare un volto a tutti i livornesi e non, migliaia in tutto, che sono scesi in strada per la città: studenti, atleti, boy scout, disoccupati. “Vorremmo raccogliere le foto di quelli che hanno spalato fango, raccolto rifiuti, ripulito case e cantine, quelli che si sono impegnati per Livorno, prima di tutto perché siete belli a bestia e poi perché magari con un po’ di fortuna ed impegno riusciremo a fare un calendario per aiutare la nostra città”. Sono facce rigate dal fango e dalla fatica, eppure così belle che ti viene la voglia di uscire e cercarle per strada, dentro quartieri che non torneranno mai più come prima. Sono facce rigate dalle lacrime e dalla disperazione, perché in fondo tutti hanno perso qualcosa nella notte più bastarda che Livorno ricordi dal disastro del Moby Prince, quando ancora i “bimbi della mota” erano solo sogni di genitori appena sposati. La loro voglia di aiutare è il primo risveglio della vita oltre il muro della devastazione, il primo raggio di sole dietro quelle colline che nessuno vuole più guardare.

Tre pezzi per approfondire:  Sulle strade del fango: «Lasciati soli per ore dopo l'alluvione, salvi grazie agli angeli» | I "bimbi motosi", la generazione dei ventenni che ha vinto. Finalmente | Bimbi motosi e università, la Regione: un nuovo bando per gli studenti alluvionati

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