Con i canti partigiani l'addio a Benifei, icona dell'antifascismo
Centinaia di persone hanno dato l'addio a Garibaldo Benifei, figura simbolo dell'antifascismo. Dalla sede Svs dov'era allestita la camera ardente e si è tenuta la commemorazione ufficiale il corteo funebre ha raggiunto a piedi l'ex teatro San Marco dov'è nato il Partito comunista.
LIVORNO. “Fischia il vento, infuria la bufera…”. Quasi non si è spenta nell’altoparlante la voce di Vincenzo Pastore, presidente Svs, che con un nodo in gola ricorda Garibaldo Benifei (“probabilmente il più anziano socio in Italia nelle Pubbliche Assistenze”), ed ecco che una voce intona il canto partigiano davanti alla sede della Svs di via San Giovanni, chiusa per ospitare centinaia e centinaia di persone che assediano la tenda dov’è esposta la bara.
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E’ come se si rompesse una diga: all’ultimo abbraccio a Garibaldo Benifei, la figura-simbolo dell’antifascismo livornese morta venerdì scorso, la canzone passa di bocca in bocca e alla fine è un coro. Così che, al pari di tanti pugni chiusi che spuntano sotto un cielo che finalmente smette di piangere pioggia, si trasforma in affermazione d’identità. Quale? Da declinare al plurale: davanti alla sede Svs ci sono le istituzioni attuali (Nogarin, Bacci e Franchi) ma anche quelle della legislatura precedente (Cosimi e Kutufà) così come l’ala dell’antifascismo più radicale, ci sono gli anarchici e ci sono carabinieri e polizia, c’è la comunità ebraica con il rabbino Yair Didi e ci sono gli anziani ex combattenti, ci sono candidati alle regionali come il Pd Francesco Gazzetti e l’anti-Pd Lenny Bottai, c’è qualche Cinque Stelle, un bel po’ di Rifondazione e di centri sociali più Buongiorno Livorno e dintorni ma anche tanto Pd, che era il partito di Garibaldo (ma la prima bandiera che s’intravede dietro la bara è quella tradizionale del Pci). E fra tante teste con i capelli grigi, quanti ragazzi nati quando Garibaldo era già nonno…
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Una “confederazione di anime” la più sfaccettata possibile: fuori di qui, neanche si parlerebbero, figuriamoci. Eppure la lezione di Garibaldo e di quella generazione che ricostruì Livorno è anche questa: la capacità di mettersi insieme al di là dei recinti delle ideologie. Del resto, negli anni di Diaz sindaco e con gli americani sull’uscio di casa, Livorno aveva in giunta non solo il Pci ma anche un ragazzo di don Angeli e perfino un anarchico (Ceccherini). Di più: qui, caso unico in Italia, l’alleanza stile Cln regge ben oltre lo scontro frontale del ’48.
Sia chiaro, guai a immaginarsi che a salutare Garibaldo sia un minestrone indistinto. Lo dicono i pugni chiusi che salutano il feretro che, passin passino, percorre tutta la strada da via San Giovanni fino all’ex teatro San Marco, dove nel ’21 è nato il Partito Comunista (Garibaldo c’era già e gli squadristi fascisti avevano già iniziato a perseguitare la sua famiglia). Poco prima, il carro funebre era passato sul ponte dei Domenicani: a un passo dall’ex convento-carcere, dove Benifei – castigato due volte dal Tribunale speciale fascista – aveva conosciuto in cella un altro antifascista come lui: Sandro Pertini, il presidente della Repubblica più amato dagli italiani. Dietro al carro, inutile dirlo, c’è la “sua” Osmana, compagna d’amore, di lotta e d’avventura: è sulla carrozzella, ma avreste mai pensato che si sarebbe arresa lasciando andarsene Garibaldo senza di lei solo perché le sue gambe non ce la fanno più?
“Se ne va un gigante della storia”, dice il sindaco Filippo Nogarin: “Per tutti noi è stato un faro e ora la comunità è qui: a dire che l’antifascismo continua a essere il riferimento”. Guido Albertelli, leader nazionale dell’Anppia, l’associazione degli antifascisti di cui Benifei era presidente nazionale onorario: “Garibaldo è stato un esempio di vita. Caro sindaco, le chiedo di impegnarsi per intitolargli una piazza o una strada” (cosa che, va datto, fin dal primo momento Nogarin ha annunciato).
L’ex teatro San Marco è ora un asilo. Il corteo funebre si ferma: in mezzo a una scenografia di gonfaloni (quelli delle istituzioni ma anche quelli dell’associazionismo resistenziale come l’Anpi, l’Anppia e l’Anei) risuonano le note di “Bandiera rossa”. Fanno il paio con la versione balkan di “Bella Ciao” che la banda Svs, magnifico moulinex di sonorità e di musicisti (così livornese e così amato da Garibaldo), inizia a ritmi quasi da rintocchi funebri e poi lascia scatenare cammin facendo.