«Non rivelò alcun segreto», assolto il direttore del carcere Mazzerbo
Livorno, l’attuale responsabile dell’istituto a Gorgona era accusato di aver raccontato ad alcuni collaboratori di un’inchiesta per droga a Porto Azzurro
LIVORNO. Carlo Mazzerbo, 58 anni, ex direttore del carcere di Porto Azzurro e attuale responsabile del penitenziario dell’isola di Gorgona, «non rivelò alcun segreto d’ufficio in merito all’inchiesta sul presunto spaccio di droga all’interno dell’istituto di Forte San Giacomo, all’isola d’Elba». O comunque non ci sono le prove per dimostrarlo. È questo il significato della sentenza letta dal presidente del collegio Carlo Cardi con la quale i giudici hanno assolto sia Mazzerbo che gli altri quattro imputati, questi accusati di detenzione ai fini di spaccio: Caterina Maniglio, 25 anni, agente di polizia penitenziaria Fabio Ferretti, 50, Luca Tagliaferro, 42, e Francesco Ciucciarelli, 36.
Va dunque in archivio con cinque assoluzioni l’ultimo capitolo della maxi inchiesta condotta dalla guardia di Finanza tra il 2009 e il 2010 a Porto Azzurro e per la quale sette dei dodici indagati avevano già chiuso i conti con la giustizia durante l’udienza preliminare con altrettante condanne in abbreviato per oltre 5 anni di reclusione complessivi. Tra le persone finite nei guai, il nome dell’allora direttore del carcere difeso dall'avvocato Marco Talini fu quello che fece più rumore sia per il ruolo che per l’accusa.
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Al centro dell’imputazione- secondo gli inquirenti coordinati dal pubblico ministero Massimo Mannucci che per Mazzerbo aveva chiesto un anno di reclusione - il 19 marzo 2010 in qualità di responsabile della casa di reclusione e dunque nelle vesti di pubblico ufficiale, informò tre collaboratori che «l’autorità giudiziaria aveva in corso un’attività di intercettazione telefonica ed ambientale per spaccio di droga all’interno dell’istituto e quindi li invitava a usare cautela nelle conversazioni. Tutte informazioni - si legge nel capo d’imputazione - che aveva appreso in via riservata dal comandante del reparto di polizia penitenziaria che aveva l’obbligo di riferirgli ogni atto che potesse compromettere l’ordine e la sicurezza nel carcere».
L’impianto accusatorio si è incrinato, e di molto, durante l’udienza chiave andata in scena nel gennaio 2013 quando davanti al collegio sono stati chiamati a deporre quelli che l’accusa considerava i testimoni chiave. I quella occasione nessuno di questi ha confermato le dichiarazioni fatte anni prima al pubblico ministero che nelle prime fasi aprì e seguì l’inchiesta.
«Il giorno dell'interrogatorio – ha spiegato in aula Nevio Erme, l’assistente capo della penitenziaria al quale Mazzerbo avrebbe rivelato il segreto – sono andato nel pallone e ho sovrapposto le cose. Le ho dette in un momento di sfogo, l'ho fatto inconsapevole, non per depistare. Ho fatto confusione tra l’inchiesta sulla cooperativa San Giacomo e la droga».
Il riferimento sarebbe all’inchiesta per stupefacenti che nei mesi precedenti era emersa quando due agenti furono fermati con dell’hashish al porto di Piombino. Poi nello specifico lo stesso Erme ha risposto così al giudice che lo aveva incalzato sul comportamento dell’allora direttore. «Mazzerbo non mi ha detto esplicitamente che c'era un'indagine in corso».
È su questa ed altre testimonianze che probabilmente si baseranno le motivazioni che il collegio depositerà entro un mese.