Il Tirreno

Il ritratto

Chi è Papa Leone XIV: Prevost, l’americano anti-Trump

di Francesco Paletti

	Il nuovo Papa è Robert Francis Prevost: si chiama Leone XIV
Il nuovo Papa è Robert Francis Prevost: si chiama Leone XIV

Uno statunitense figlio di emigrati. Missionario in Perù, bergogliano doc

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Il Papa del dialogo e della pace. «Disarmata e disarmante» l’ha definita affacciandosi per la prima volta dalla Loggia delle Benedizioni. Se il primo discorso pubblico del nuovo pontefice è considerato da sempre alla stregua di una dichiarazione programmatica, ci sono pochi dubbi sulla traiettoria che seguirà il pontificato dell’agostiniano Robert Francis Prevost, da ieri Papa Leone XIV.

Nato a Chicago il 14 settembre del 1955, è anche il primo statunitense alla guida della chiesa cattolica. Ma questo, forse, è solo un dato biografico, per un pastore che ha trascorso tanta parte della sua vita in Perù: prima (dal 1985 al 1999) da sacerdote, come direttore del seminario agostiniano di Trujillo e poi di nuovo dal 2014 al 2023 come vescovo della diocesi di Chiclayo, una del più povere del Paese andino.

Sempre nel primo discorso ha evocato anche, più volte, «una chiesa costruttrice di ponti» e qualcuno ha voluto anche leggervi un’inevitabile contrapposizione con il presidente americano Trump, costruttore di muri, non solo politici, ma anche concreti. Costruttore di ponti, in realtà, Papa Leone XIV lo è stato per tutta la vita. Lo dice in primo la sua origine. Come Bergoglio, è figlio d’emigranti: madre di origini spagnole e padre con radici francesi. Poi la sue scelte, a cominciare da quella di andare missionario in Perù che ne ha fatto un ponte in carne ed ossa fra il l’America Settentrionale e quella Latina, ma anche fra i più poveri del mondo e i più ricchi.

Il suo stile, probabilmente, sarà più riservato e meno istrionico di quello del suo predecessore, ma chi lo conosce assicura che si muoverà nel solco tracciato da Francesco, di cui, peraltro, è stato anche uno strettissimo collaboratore. Dal 2023, fino a pochissimi giorni fa, infatti, ha ricoperto la carica di prefetto vaticano del Dicastero Vescovi: in due anni ne ha nominati centinaia in tutto il mondo, forgiando una generazione di vescovi “bergogliani”, aperti e progressisti. Con il Papa argentino, infatti, condivide tanto. Ma soprattutto la medesima visione della missione e della funzione pastorale del vescovo: «Deve essere in grado di accompagnare il popolo di Dio e di vivere vicino a lui, non essere isolato» ha detto in tempi non sospetti, ossia poco dopo che Papa Francesco gli aveva affidato la guida del Dicastero. Così, probabilmente, interpreterà anche il suo pontificato. “Costruttore di ponti” e mediatore, d’altronde, Robert Francis Prevost lo è stato sia da vescovo che da cardinale. Non solo all’esterno, ma anche e soprattutto all’interno la chiesa. Bergoglio lo stimava talmente tanto da affidargli alcune delle “missioni” più delicate sul piano teologico e pastorale.

Due su tutte: Papa Francesco, che nel 2014 lo aveva nominato vescovo della diocesi peruviana di Chiclayo, sei anni dopo gli affida anche l’incarico di amministratore apostolico di quella di Callao, diocesi in qualche modo da pacificare e riportare ad unità dopo la decisione dello stesso Bergoglio di rimuovere prima del compimento del 75esimo anno il precedente vescovo Jose Luis Del Palacio, spagnolo e assai vicini all’ex arcivescovo di Lima Cipriani, dell’Opus Dei, anch’esso sostituito nel 2019. Invece nel 2023, quando già era stato chiamato in Vaticano, insieme al segretario di stato Parolin, fu incaricato di risolvere la grana del Cammino sinodale tedesco: il dibattito interno alle diocesi germaniche, infatti, stava diventando troppo spinto e innovatore e, se non corretto, rischiava anche di condurre ad un scisma. Prevost e Parolin, però, riportarono la discussione nell’alveo dell’ortodossia senza traumi e fratture. Emblematica e programmatica anche la scelta del nome, nient’affatto casuale se si considera l’eredità lasciata dal Leone XIII, un gesuita (come Bergoglio) e uno dei papi più colti e progressisti dell’Ottocento, il cui pontificato segnò un’epoca di dialogo tra la chiesa e il mondo moderno.

È stato il pontefice dell’enciclica Rerum Novarum, testo fondativo della dottrina sociale della Chiesa in cui ha affrontato e condannato le ingiustizie del capitalismo selvaggio e rivendicato la dignità del lavoro, la giustizia salariale, il diritto all’associazione sindacale e il dovere dello Stato di tutelare i più deboli, ma anche un ruolo attivo della comunità cristiana nella tutela dei lavoratori. Restano, però, due ombre. Su di lui, infatti, pesano un paio di accuse di aver coperto abusi sessuali di sacerdoti a Chicago e in Perù. A Chicago, l’anno scorso è stato accusato pubblicamente per non aver preso provvedimenti negli anni Ottanta e Novanta, nei confronti di due agostiniani poi condannati per abusi. A Chiclayo è stato accusato di aver insabbiato la denuncia di tre sorelle che avevano accusato due sacerdoti di averle molestate. Nessuno dei due casi, comunque, è sfociato in un processo. 
 

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