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Giuseppe Bergomi: dove può arrivare l’Inter, Bearzot come padre e perché non allena

di Maurizio Ceccarelli
Giuseppe Bergomi: dove può arrivare l’Inter, Bearzot come padre e perché non allena

Lo Zio” a Follonica per partecipare a un evento organizzato dal Gruppo Bancario Fideuram . E il campione avverte: «Occhio alla Fiorentina»

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FOLLONICA. È stato uno dei giocatori più rappresentativi della storia dell’Inter e della Nazionale italiana. Giuseppe Bergomi, per tutti “Lo Zio”, a Follonica per partecipare a un evento organizzato dal Gruppo Bancario Fideuram ripercorre, attraverso le pagine de Il Tirreno, i suoi anni da calciatore, con un occhio al campionato tra favoriti e sorprese.

Bergomi, prima volta a Follonica?

«Sì, è la prima volta che vengo qui e spero di fermarmi per visitarla perché mi hanno detto che è molto bella».

A Follonica c’è un Inter club importante intitolato a Giacinto Facchetti. Lo sapeva?

«No, non lo sapevo, ma questo mi fa molto piacere. Giacinto per me è stato un esempio, un esempio positivo che ho sempre cercato di seguire ed è stata la penultima persona che ha provato a riportarmi all’Inter, prima di Walter Sabatini. Sono molto legato a Giacinto alla sua famiglia, conosco bene i suoi figli e quindi mi fa piacere che questo club sia intitolato a lui».

Lei è stato capitano dell’Inter proprio come Facchetti, a conferma di una tradizione che ha visto sempre grandi giocatori, ma soprattutto grandi uomini indossare la fascia da capitano: da Armando Picchi a Mazzola, da Bini a Baresi fino ad arrivare a Ronaldo e Zanetti. Oggi il capitano è Lautaro Martinez. Come si colloca l’argentino in questa galleria d’autore?

«Lautaro ha avuto una grande crescita da un punto di vista caratteriale. Nel periodo in cui segnava meno o addirittura non segnava lui si intristiva, era negativo. Oggi invece è in quei momenti che capisci che è il capitano; dal suo atteggiamento, da come sprona la squadra e da come lotta su ogni pallone. Lautaro è tra i grandi capitani dell’Inter».

Il campionato fino a questo momento non ha un padrone. L’Inter che sembrava la favorita si ritrova nel gruppone insieme alle altre. Una stagione anomala con tantissimi impegni, a cominciare dalla nuova formula della Champions. In tutto questo Inzaghi come sta gestendo l’Inter?

«Molto bene, è chiaro che se facciamo il paragone con la stagione scorsa l’Inter è sempre perdente. L’anno scorso pochi infortuni, la squadra è partita forte e non ha mai avuto problemi. Quest’anno la squadra ha la media età più alta, qualche infortunio di troppo. Capita perché, come diceva lei, le partite sono tante e poi ci sono certi giocatori che sono più difficili da sostituire rispetto ad altri; forse poteva avere qualche punto in più ma è comunque in linea. Secondo me sta andando bene, ha subìto qualche gol di troppo all’inizio, a cui non eravamo abituati, però per come è costruita la squadra è in linea con gli obbiettivi. Io dico sempre che l’Inter non è la più forte, ma è la più brava a stare ad alto livello da quattro o cinque anni».

C’è una priorità in casa Inter tra Champions e Campionato?

«Secondo me non si sceglie quasi mai: forse l’anno scorso ad un certo momento la seconda stella era diventato un obiettivo fondamentale. Io credo che in questa prima fase ci sia una maggiore concentrazione sulla Champions, perché arrivare tra le prime otto vuol dire evitare due partite in più e se a febbraio sei ancora in questa posizione di classifica non puoi più scegliere e devi andare su tutti e due gli obiettivi. In questo momento direi qualcosa in più sulla Champions».

Cosa le ha lasciato il mondiale conquistato nel 1982 ed Enzo Bearzot?

«Ero partito come riserva delle riserve, perché allora non era come oggi con la panchina di dieci giocatori, in quegli anni c’erano 11 giocatori in campo, quattro in panchina, più il portiere e gli altri in tribuna. Quindi ritrovarsi a giocare con il Brasile per me era già il massimo, figurarsi affrontare poi la Polonia in semifinale e vincere il titolo con la Germania cosa possa aver significato. Bearzot per me è stato un padre, un uomo di grande spessore tecnico e umano. Ho perso mio papà presto, avevo 16 anni, sono cresciuto con mia madre e mio fratello. Ecco, Bearzot ha rappresentato quella figura paterna che mi mancava».

E Dino Zoff?

«Come Bearzot, Zoff era una persona che parlava poco ma sempre al momento giusto. Due figure importantissime e fondamentali per la mia carriera, dotati entrambi di un carisma incredibile».

Come è stato il passaggio dal campo alla tv?

«Sono sempre stato molto timido e riservato e quando fui contattato da Telepiù che trasmetteva le partite in quegli anni e mi proposero il ruolo di commentatore, ricordo che risposi con questa frase: “Avete scelto la persona sbagliata”. Poi accettai e tutto è andato per il meglio».

Tornando all’attualità: del gruppo di squadre che guidano la classifica in questo momento, quante ne arriveranno in fondo?

«Questa è una bella domanda. Io dalla prima giornata mi sono “innamorato” della Lazio perché è stata costruita bene, squadra veloce e coraggiosa, quindi per me non è una sorpresa vederla li. Invece la Fiorentina sì, è una sorpresa, perché era partita male, poi ha preso coraggio e Palladino è stato molto bravo a metterla a quattro e i risultati sono arrivati. Attenzione a Lazio e Fiorentina e Atalanta».

C’è il rischio che le tre squadre da lei citate alla lunga vadano “fuori giri”?

«Potrebbe essere, però tutte le squadre hanno molti giocatori e li fanno girare tutti. Poi i valori verranno fuori, ma attenzione a queste squadre».

Perché Beppe Bergomi non siede su una panchina importante?

«Ho fatto l’allenatore nel settore giovanile quando ero all’Atalanta e mi è stato detto dentro o fuori. E forse sono rimasto nella mia zona di confort, quello che faccio con passione e che mi piace».

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