Tutti uniti davanti ai cancelli: Venator non rompe il fronte
Dopo l’annuncio dei tagli i lavoratori espongono il cartello “io sono 41”. «Perché il problema non sono solo i licenziamenti, qui rischia la fabbrica»
SCARLINO. Com’era inevitabile che succedesse, alla fine i nodi sono arrivati al fatidico pettine. E ieri mattina alle otto, di fronte al cancello della Venator di Scarlino, le maestranze erano tutte schierate a sostegno dello sciopero di otto ore convocato il giorno prima dalla Rsu aziendale. La scelta di dichiarare 41 esuberi fatta dalla multinazionale inglese che gestisce l’impianto di produzione del biossido di titanio nella zona industriale del Casone, tra Follonica e Scarlino, ha suscitato infatti una reazione durissima fra operai e tecnici della fabbrica. Già coi nervi a fior di pelle per l’incertezza che si trascina oramai da inizio anno in seguito ai problemi di smaltimento dei famigerati gessi rossi. Rifiuto speciale non pericoloso residuo del ciclo di lavorazione, per stoccare i quali si stanno esaurendo gli spazi a disposizione. Vicenda scaturita da un'inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Firenze, complicatasi per un contenzioso di natura amministrativa con la Regione sulle autorizzazioni allo stoccaggio, che ha portato alla chiusura di due delle tre linee di produzione del biossido. E che è stata presa a pretesto da Venator per avviare la procedura di esubero in base alla legge 223/91, dopo che nelle scorse settimane aveva paventato la necessità di ridurre i costi di produzione del 25%.
Questo cambio di passo repentino da parte dell'azienda ha sorpreso molti – ma non tutti – perché solo pochi giorni fa c'era stato un incontro a Firenze tra il management di Venator e i vertici politici e tecnici della regione. Che, dopo le scintille delle settimane precedenti, sembrava aprire la strada a un atteggiamento collaborativo in vista dell'accordo quadro da tutti auspicato.
Ora la preoccupazione si sta trasformando in angoscia: dalle indiscrezioni che circolano, infatti, l’azienda conterebbe di tagliare spese dirette per tre milioni di euro, cui si aggiungerebbero altri tre milioni e 300mila euro di risparmi sulle commesse alle aziende dell'indotto. Il che significa la perdita di lavoro da parte di almeno una sessantina di dipendenti, che si aggiungerebbero ai 41 di cui Venator intenderebbe disfarsi. Mentre sullo sfondo, al di là delle dichiarazioni di prammatica, rimangono dubbi sulla reale volontà della multinazionale di garantire la continuità produttiva dell'impianto nel medio periodo.
«I lavoratori – sottolinea Riccardo Tosi, ingegnere che si occupa di manutenzione e ingegneria elettrostrumentale, membro della Rsu per la Filctem Cgil – hanno reagito con compattezza di fronte alla minaccia della perdita del posto di lavoro, sventando il tentativo di dividere il fronte. Tutti hanno capito che il problema non riguarda solo chi è a rischio, ma anche chi rimarrebbe in una fabbrica decotta e senza futuro. Il nostro non è stato uno sciopero egoistico per lo stipendio, ma per salvare la fabbrica e darle una prospettiva di continuità. Nonostante un management incompetente e inadeguato, infatti, la fabbrica ha tutte le condizioni per stare sul mercato».
A testimonianza di quello che dice Tosi, molti dipendenti di Venator si sono presentati all'assemblea con al collo cartelli con su scritto “io sono 41”, proprio a sottolineare l’unità delle maestranze di fronte alla scelta aziendale. Da considerare che attualmente nell'impianto Venator del Casone di Scarlino lavorano 252 persone, alle quali se ne aggiungono almeno altre 150 delle imprese dell'indotto che quotidianamente varcano il cancello di ingresso. Poi ci sono gli addetti indiretti.
Cgil, Cisl, Uil, Ugl hanno già preso ieri una posizione comune, bollando come «inaccettabile – hanno detto Monica Pagni (Cgil), Katiuscia Biliotti (Cisl), Federico Capponi (Uil) e Giuseppe Dominici (Ugl) – che un’azienda delle dimensioni e importanza di Venator si ostini a sottrarsi al confronto sindacale. Muovendosi unilateralmente con scelte incomprensibili che ricadono pesantemente sui livelli occupazionali del territorio, a partire dai dipendenti diretti e senza assumersi nessuna responsabilità nei confronti dei lavoratori delle ditte e aziende, a partire da Nuova Solmine, la cui produzione è strettamente legata a quella di Venator, e a quelle che al suo interno operano in attività di manutenzione, logistica e trasporti, pulizie industriali, mensa».
La mobilitazione sindacale, ovviamente, non si fermerà allo sciopero di ieri. «Abbiamo concordato – dice Fabrizio Dazzi, segretario Filctem Cgil – di indire uno sciopero generale che coinvolga tutta la zona nord della provincia di Grosseto e il comparto lapideo di Massa Carrara. Questa vicenda minaccia di creare uno sconquasso perché le aziende coinvolte che dipendono dal ciclo produttivo di Venator sono molte e danno lavoro a tante persone. Per cui non può essere presa sottogamba da nessuno». Se la situazione degenerasse, oltre ai problemi che già scontano le segherie di marmo di Massa Carrara, che conferiscono a Venator 300mila tonnellate di marmettola (carbonato di calcio) per il suo processo industriale, subirebbe un contraccolpo grave anche la Nuova Solmine di Scarlino. Azienda con più di 100 addetti che produce 600mila tonnellate di acido solforico all'anno. Il 30% del quale viene ritirato da Venator per utilizzarlo nell'estrazione del biossido di titanio dal minerale di Ilmenite. È quindi evidente che la vertenza Venator, se non avesse uno sbocco positivo, minaccia di travolgere molti operatori economici della filiera, con un impatto significativo sui livelli occupazionali di un territorio già in grande sofferenza.