Il piatto tipico non esiste e vi spiego perché Il tour enogastronomico di una grossetana
Per Irene Pellegrini la cultura culinaria è frutto di contaminazioni: per coglierle bisogna battere lo Stivale, magari a piedi
IL VIAGGIO
Lina Senserini
Cosa ci incastra il merluzzo che vive nei mari del Nord con il baccalà alla vicentina o alla livornese? E le acciughe, come sono arrivate in Piemonte, dove non c’è il mare, fino a diventare l’ingrediente più importante della bagna càuda, la salsa piemontese per eccellenza? Quesiti che trovano risposta nella storia del cibo, che la grossetana Irene Pellegrini ha deciso di raccontare in un modo originale. Seguendo, cioè, il percorso – nello spazio e nel tempo – della migliore tradizione culinaria italiana, in un viaggio, anzi un gran tour enogastronomico, dello Stivale, lungo il Sentiero Italia del Club alpino italiano (Cai), rigorosamente a piedi. Il titolo del suo progetto, manco a dirlo, “Cibo in cammino”.
Così, mercoledì prossimo si metterà in marcia insieme all’amica e compagna di viaggio Barbara Gizzi, con la quale ha ideato il progetto “Altropasso-itinerari di viaggi e di ricerca” (https: //altropassoinfo. wixsite. com/website), partendo dalla Sicilia lungo il percorso escursionistico tracciato dal Cai, che attraversa l’Italia nelle due grandi dorsali montuose delle Alpi e degli Appennini. Associati alle tappe ci sono incontri e interviste già programmati con persone che svolgono professioni legate al cibo: pastori e allevatori, cuochi e viticoltori, piccole aziende di trasformazione, per ricostruire attraverso le testimonianze e il resoconto del viaggio, l’origine remota della tradizione enogastronomica italiana. Perché, Irene ne è convinta, non esiste un piatto locale e tipico, ma tutto nasce dallo spostamento, dall’incontro e dalla contaminazione tra popoli e culture.
Il tour è diviso in tre tappe – sud, centro e nord Italia – si svolgerà tra maggio e dicembre, con una pausa a luglio. Il viaggio viene raccontato tappa per tappa sulla pagina Facebook di Altropasso, nata per accompagnare il progetto e per promuovere lo spostamento sostenibile, a piedi o in bicicletta, ci tiene a precisare Irene Pellegrini, più in generale alla riscoperta del viaggio come inclusione sociale.
Classe 1977, sociologa, ricercatrice, guida ambientale escursionista, ha lasciato Grosseto, dove è cresciuta, per Roma, dove si è laureata, prima di trasferirsi a Zurigo, la città in cui vive e lavora da quattro anni nel campo della ricerca sulle migrazioni degli italiani in Svizzera. Coltiva da sempre la passione e la curiosità per le diverse espressioni culturali, come il cibo e il cammino, che ha deciso di trasformare in qualcosa di nuovo attraverso questa avventura lungo il Sentiero Italia. «Tutto è nato dall’idea di mettere insieme il viaggio a piedi, lo spostamento lento – spiega Irene – con il racconto del territorio, della sua gente e delle tradizioni a tavola, anche da un punto di vista sociologico, non solo turistico o enogastronomico tradizionale. Insomma, ho unito la mia formazione di sociologa all’attività di guida ambientale, alla curiosità e la passione per il cibo. La pandemia da coronavirus, se ci ha insegnato qualcosa, ci ha dimostrato che bisogna rallentare e riconsiderare anche il modo troppo frettoloso di spostarci, di “consumare” il viaggio e la vacanza in fretta. Andare a piedi, guardarsi intorno, fermarsi a parlare con le persone, chiedersi cosa c’è dietro un piatto di cous-cous in Sicilia o dietro una carbonara a Roma, oltre che goderne la bontà, significa soffermarsi a pensare e riappropriarsi del proprio tempo. Avevo già in testa questa idea, che ho maturato facendo lunghe camminate sulle montagne della Svizzera, poi quello che sta succedendo con il Covid mi ha spinto a metterla in pratica. Certo non è semplice, ci sono costi da sostenere, che nel caso del gran tour sono coperti in parte dal Cai con un rimborso spese per me e Barbara». Nel frattempo è nato anche un altro progetto, focalizzato sulla Toscana, che resta momentaneamente fuori dal gran tour perché il Sentiero Italia del Cai percorre solo la zona del Casentino e dell’Appennino tosco-emiliano, lasciando fuori il resto della regione. Dunque, per ragioni di committente, è stato necessario scorporare la Toscana dal “Cibo in cammino” e dedicarle «una costola del progetto per il quale stiamo cercando finanziamenti, contattando ogni Comune toscano, altri enti locali, l’Anci. Il sistema è lo stesso, il viaggio a piedi lungo percorsi escursionistici, seguendo un itinerario di gusto e cultura. Il titolo c’è: “Come un baccalà”. E si torna alla domanda di partenza per raccontare come un pesce dei mari del nord sia diventato la base di un piatto livornese». —
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