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Processo Concordia, De Falco: "Vada a bordo c..." e Schettino abbassa lo sguardo

Processo Concordia, De Falco: "Vada a bordo c..." e Schettino abbassa lo sguardo

Al processo per la Concordia sentito il capitano di fregata che la notte dell'incidente ordinò al comandante di tornare sulla nave. Ma a fine udienza il comandante rilascia una dichiarazione spontanea: "Quella telefonata fu inutile e provocatoria"

09 dicembre 2013
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GROSSETO. ''Nella telefonata che oserei definire tristemente famosa, ho cercato di stabilire in tutti i modi un dialogo propositivo e collaborativo col comandante De Falco privilegiando la sostanza della comunicazione ma notavo, meravigliandomi, la perdita dell'autocontrollo''. Così Francesco Schettino in una dichiarazione spontanea resa alla fine dell' udienza a Grosseto, sulla celebre telefonata con Gregorio De Falco, chiosata dalla frase 'Vada a bordo, c.!', e commentata per la prima volta da Schettino.

De Falco ''mi diceva richieste impossibili da realizzare'' e ''dava ordini perentori espressi con tono sprezzante'', ha anche detto Schettino leggendo un testo. Comunque ''ero disponibile a interpretare le sue richieste'' e ''pronto ad essere utile e non cadere in quelle che ho considerato essere inutili provocazioni in quella situazione drammatica mentre lui stava a 140 km di distanza''.  ''La telefonata stessa non ha cambiato il corso degli eventi, non ha fatto altro che diventare un simbolo negativo per il comandante della Costa Concordia, per le capitanerie di porto e per l'Italia intera'', ha concluso Schettino.

LA TESTIMONIANZA DI GREGORIO DE FALCO

"Vada a bordo, c....!" E Francesco Schettino abbassa lo sguardo agitando un foglio scritto che tiene in mano, mentre parla con uno dei suoi avvocati. Così l'imputato del processo sul naufragio della Costa Concordia reagisce mentre scorre l'audio della telefonata con cui Gregorio De Falco tentò di convincerlo a risalire sulla nave per coordinare i soccorsi ai passeggeri. Durante la testimonianza di De Falco Schettino ha interloquito spesso con la sua difesa, anche scuotendo la testa e sorridendo in modo nervoso durante le telefonate più concitate e drammatiche con De Falco.

"Dalla Costa Concordia ammisero la falla solo venendo contattati più volte da terra, in particolare dalla capitaneria di Livorno". Lo dice il capitano di fregata Gregorio De Falco (l'ufficiale del "Torni a bordo, c...!') teste al processo di Grosseto (in aula è presente anche Schettino) ricordando che ''alle 22.38 (l'urto è delle 21.45, ndr) la nave dà il segnale di distress. Chiamo io la nave perchè non convince la situazione di apparente tranquillità che loro dichiaravano. A seguito di questo ammettono che c'è una falla e non un semplice black out, così possiamo inviare motovedette ed elicotteri'' di soccorso.

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AUDIO La telefonata di De Falco: "Torni a bordo c..."

''Mentre dalla nave ci davano rassicurazioni sulla situazione a bordo, i carabinieri di Prato ci avevano avvisato della telefonata di una parente di una passeggera secondo cui la nave era al buio, erano stati fatti indossare i giubbotti di salvataggio, erano caduti oggetti e suppellettili: circostanze non coerenti con quanto dichiarato dalla nave'', racconta De Falco.

''Questo ci fece pensare che la situazione era più grave'' e ''nessuno dalla Concordia aveva ancora chiamato per chiedere soccorso''. Nei primi contatti via radio, poco dopo le 22, la Costa Concordia aveva detto alla capitaneria di avere un black out e che sarebbe rimasta al Giglio per verificare l'avaria. Ma nessuno allora parlò di falla.

VIDEO: Concordia, De Falco: ''Ancora mi chiedo perché Schettino scese''

De Falco-Schettino,"Quanti a bordo?" "Una diecina". ''Quanti passeggeri ci sono ancora a bordo, comandante?''. E Schettino: ''Non lo so, mi trovo sulla lancia, credo massimo una diecina di persone sull'altro lato'': è una delle prime conversazioni tra Gregorio De Falco, che chiede informazioni dalla sala operativa di Livorno e Francesco Schettino. Ma alla capitaneria risultavano almeno in in quella fase almeno 2-300 persone ancora a bordo. Sono mezzanotte e 28. Ancora De Falco: ''Quanti coordinano lo sbarco? Lei dove si trova?''. E Schettino: ''La nave è giù a 90 gradi, sono su una scialuppa tra la nave e terra''. ''Comandante: quante persone vede in acqua? Ci sono donne, bambini? Quanti sono? Si stanno buttando in acqua?''. ''A bordo c'è una decina...''. ''Può verificare questo dato? Voglio i dati''. ''Io chiesi quante persone andare a cercare a bordo - ha detto oggi De Falco -, insistevo ma il comandante non mi sapeva dare le risposte''.

Schettino alla capitaneria: ci resto io a bordo. "Comandante, chi rimane a coordinare i soccorsi da bordo, chi ci rimarrà, lei?''. E Schettino alla domanda di un sottocapo della capitaneria di porto di Livorno: ''Ci rimango io''. ''Grazie, comandante''. La conversazione viene fatta ascoltare al processo di Grosseto. In realtà non sarà così: Schettino lascerà la nave quando ci sono ancora molti passeggeri a bordo. Questa conversazione è delle 23.37 del 13 gennaio 2012.

IL 13 GENNAIO SIT-IN IN AULA

Per il secondo anniversario del naufragio della Concordia, un sit in in aula dei passeggeri, “per far capire che dietro agli avvocati ci sono delle persone reali”. Lo ha promosso l'associazione legale Giustizia per la Concordia, parte civile nel procedimento, che ha dato appuntamento per il 13 gennaio (un lunedì, tra l'altro proprio giorno di udienza al teatro Moderno per il processo Schettino) a coloro che erano a bordo la notte della sciagura. La notizia è stata data all'inizio dell'udienza odierna.

Cinque minuti di silenzio in aula, questo il modo prescelto per la manifestazione, “una doverosa forma di rispetto per le 32 vittime e i loro familiari – si legge nel manifestino che pubblicizza l'iniziativa – È un invito a una vera e propria mobilitazione generale per quei passeggeri della Concordia ancora indignati e decisi a non far passare sotto indifferenza tutte le vere responsabilità legate al naufragio”. Interesse delle parti civili nel processo al comandante è quello di far emergere le responsabilità della compagnia armatrice, perché i passeggeri “siano risarciti decorosamente”.

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