Grosseto

Pestarole etrusche nel castello: i segreti del vino al Potentino

Fiora Bonelli
<strong>PESTAROLE </strong>Uno degli otto manufatti in pietra trovati nel castello di Seggiano
PESTAROLE Uno degli otto manufatti in pietra trovati nel castello di Seggiano

14 gennaio 2011
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L'Amiata rivendica, nel suo piccolo (come l'Armenia) un riconoscimento in fatto di lavorazione millenaria del vino. Sotto il castello di Potentino di Seggiano, lungo il fiume Vivo, esiste una fila di "pestarole" forse etrusche, a testimonianza che la zona, in particolare il castello aldobrandesco più illustre di Seggiano, possono a buon diritto rivendicare una produzione vinicola che risale a 3000 anni fa. 

Insomma, mentre un'équipe internazionale di archeologi ha lanciato, un paio di giorni fa, una notizia che ha fatto il giro del mondo, cioè di aver trovato in Armenia un'unità strutturale completa per la produzione di vino databile 6100 anni fa, dall'Amiata si fa sapere che in questo territorio esistono numerosi "palmenti" o "pestarole", come si preferisce definirle, che non avranno 6000 anni, ma che ne potrebbero avere 3000 anni e rivestono un grande (e finora poco studiato) valore documentario.  Una serie di testimonianze materiali di una civiltà che potrebbe essere addirittura di tipo rupestre, ma che più facilmente è da ritenersi di età etrusca. Questo è, per lo meno, l'opinione dei proprietari del castello di Potentino, gli unici, fino ad adesso, ad essersi interessati a queste pestarole. Ma ora la scoperta armena potrebbe essere la nuova molla per attirare l'interesse degli studiosi.  Le pestarole sono manufatti composti da una vasca superiore scavata nella pietra di peperino, materiale particolarmente adatto ad essere lavorato, vasca che ha un beccuccio di pietra sotto al quale si apre un'altra vasca di raccolta. Sono veri e propri monumenti di pietra che raccontano di una civiltà dedita, in particolare, alla coltivazione della vite e alla produzione di vino. Infatti i grappoli venivano ammassati nella vasca superiore più grande e premuti in modo da far uscire il liquido che colava, attraverso il foro, nel contenitore inferiore.  In Italia e in Europa sono considerate testimonianze preziose di una civiltà contadina e pastorale: in Toscana, nelle isole del Giglio e di Capraia, in Basilicata, ma anche in Israele, Bulgaria, Corsica, Marocco e Mauritania. In quasi tutti questi luoghi i palmenti sono stati classificati e studiati. Ma in Amiata questo non è accaduto, alemno per ora. E la padrona del Castello di Potentino di Seggiano ne segnala otto nella sua proprietà e altri lì vicino. E sono quelli visibili, perché, poi altri ve ne saranno nascosti dalla vegetazione. «Quelli che conosco - afferma Charlotte Horton - sono 8, tutti posizionati lungo la linea della valle del Vivo e allineati in sequenza. Alcuni più piccoli, altri più grandi, formati anche da tre o quattro vasche. Sono splendidi».

La proprietaria del castello spiega come le "pestarole" siano sempre collocate vicino a sorgenti o corsi d'acqua o in riva al mare (come a Capraia). Avevano intorno a sé i vigneti e tutti o quasi sono stati scavati in zone vulcaniche, come l'Amiata, dove la coltivazione della vite sativa e ancora prima la lavorazione della vite selvatica spontanea era tipica di questo territorio: «Crediamo, da alcune ricerche che abbiamo fatto, che questi reperti possano essere etruschi e vorremmo, data la loro bellezza e storicità, che fossero per lo meno visionati e classificati da esperti archeologi». Charlotte Horton sta conducendo da anni una ricerca sui vitigni autoctoni di Potentino che è, fra le località dell'Amiata grossetana, quella più nota e illustre per la produzione di uve eccellenti. Ma la signora del castello ha fatto di più. Ogni anno, a vendemmia terminata, spreme una certa quantità di uva in una di quelle vasche. Una specie di benfinita da cui si ottiene un vino particolare e gustoso che si consuma in famiglia: «Pigiamo l'uva nelle pestarole con i piedi - racconta - poi raccogliamo il mosto e per farlo fermentare lo trasportiamo in recipienti e da lì spilliamo il vino nuovo. Posso dir che pigiare l'uva nella pietra come facevano gli etruschi, dà al vino un colore particolare e un sapore freschissimo».
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