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L’intervista esclusiva

La legge di Ikoné: «Vincere sempre, senza scegliere»

di Francesca Bandinelli
La legge di Ikoné: «Vincere sempre, senza scegliere»

L’esterno francese lancia la sfida alla stagione «Pronto a sollevare un trofeo e a fare la storia»

31 marzo 2023
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FIRENZE. Jonathan Ikoné corre veloce, nelle risposte come sul campo. E va dritto al nodo della questione: «Voglio vincere. Dobbiamo dare il massimo, senza pensare a nulla, solo a macinare successi. Sì, sono pronto a sollevare un trofeo: so che sono tanti anni che Firenze non festeggia qualcosa, proviamo a fare la storia».

Le critiche ricevute nei mesi scorsi non lo hanno scalfito, «comunque, sono indice d’amore». Racconta della sua infanzia, vissuta vicino a quel Kylian Mbappé diventato uno dei re di Francia e dei consigli che suo papà Wilfried gli ha regalato e che, a distanza di anni, non ha dimenticato.

La Nazionale Bleus sì, sicuramente è il suo sogno, «ma la Fiorentina viene prima di tutto». Meglio pensare all’Inter, al gol già realizzato contro i nerazzurri, «il più bello fin qui con questa maglia», e alla strategia migliore per cercare di fare il bis. Alla Scala del calcio, per diventare lui stesso, un nuovo fenomeno. Viola.

Jonathan Ikoné, da piccolo, la chiamavano “piccolo Messi”. Come è nato questo appellativo?

«Io sono sempre stato mancino, fin da bambino mi piaceva cercare l’uno contro uno con l’avversario, provando a dribblarlo. Giocando sulla fascia destra, ho potuto sfruttare queste mie qualità per affondare il colpo».

È stato un peso o un onore ?

«No, non è mai stata una responsabilità in più, perché ho fatto quello che mi piaceva. È stato, semmai, un privilegio, fin dall’inizio della mia avventura col pallone. Ho sempre sognato di giocare a pallone. Non ho mai vissuto, né prima né ora, il mio modo di esprimermi in campo in maniera ossessiva, piuttosto sono stato da subito consapevole del privilegio che mi è toccato, giocare a calcio».

Quale il giocatore a cui si è ispirato, fin da ragazzino?

«Da piccolino, ho cercato di ispirarmi a tanti simboli del pallone. Mi piaceva tantissimo Robinho, di cui ho osservato a lungo i movimenti, o anche Ronaldinho. Nel calcio, però, non si finisce mai di imparare. Tra i giocatori ancora in attività mi sento di nominare Di Maria, uno che quando si muove in campo incanta, Messi o anche Neymar: fenomeni veri».

Lei è nato in una famiglia di sportivi?

«Sì, giocava mio fratello e pure mio padre, ma in Congo. Il calcio è sempre stato nelle nostre vene».

Il suo primo allenatore è stato il papà di Kylian Mbappé, Wilfried.

«E sapete qual è la frase che mi ripeteva sempre e che non dimenticherò mai? Mi diceva continuamente: “Cerca l’uomo, puntalo e affrontalo”. Era quasi un ritornello, era il modo per costruire la superiorità, per misurarsi con lo spessore dell’avversario e perfezionare il proprio. Con lui ho imparato a scartare chi avevo di fronte, a sfruttare le mie qualità, cercando di essere il più imprevedibile possibile».

Kylian è il capitano della Francia: sorpreso o quella di Mbappé è la storia di un predestinato?

«Non ci siamo sentiti recentemente, ma sa benissimo quanto sia felice per lui, mi auguro che possa portare la Selezione francese il più lontano possibile, conquistando trofei, uno dietro l’altro».

La Nazionale è il suo sogno?

«Possibile, ma io penso soltanto a fare bene quello che mi viene richiesto. Ho bisogno di contribuire a trascinare in alto il mio club, l’unica chiave capace di aprire tutte le porte è questa».

Lei ha segnato all’andata con l’Inter: è pronto a riavvolgere il nastro?

«Io spero solo che la squadra possa essere protagonista di una bellissima gara. Intanto concentriamoci sul gioco, poi vedremo chi segnerà. Non conta il bene di un singolo, ma quello del gruppo. La felicità è un pianeta condiviso. Il gol più bello che ho segnato con questa maglia è sicuramente quello ai nerazzurri: mi auguro però che il più significativo sia quello che deve ancora arrivare, magari davvero domani. Perché no».

La Fiorentina è rinata dopo la sconfitta contro la Juventus: perché?

«Siamo all’interno di un ciclo vincente, che sì, è nato dopo la sconfitta contro la Juventus. Non c’è un perché in particolare: eravamo consapevoli di dover aprire una lunga parentesi di successi per scalare la classifica. Ci siamo rimboccati le maniche, consci che quel lavoro che stiamo portando avanti da tempo ci avrebbe aiutato. E ora non dobbiamo perdere di vista l’obiettivo, una partita alla volta. Dobbiamo continuare a seguire i consigli del tecnico».

Perché, la Fiorentina, all’inizio della stagione ha faticato così tanto e ora, invece, per certi versi vola?

«Adesso stiamo vivendo un discreto momento, è innegabile e proprio per questo dobbiamo guardare avanti, anche dimenticando quello che è stato. La storia la si costruisce col presente: non dobbiamo rimuovere la lezione imparata dagli errori, ma è fondamentale proiettarsioltre. L’unica cosa che conta ora è non fermarsi: vogliamo arrivare il più lontano possibile».

La Fiorentina ha tante “frecce” all’interno del suo arco. Che giocatore è Nico Gonzalez, quali le sue caratteristiche che l’hanno colpita?

«È un altro che fa dell’uno contro uno il suo cavallo di battaglia, va a viso aperto contro l’avversario, non teme lo scontro».

E Saponara?

«È uno dei calciatori più tecnici che abbia mai conosciuto in carriera. È diabolico coi suoi movimenti, chirurgico. Col pallone ai piedi è incredibile, sa usare la fantasia al momento giusto: controlla bene la sfera, è di quelli che con la tecnica sa come fare la differenza all’interno di un gruppo».

Che giocatore è invece Brekalo?

«È un calciatore molto veloce, che fa della rapidità uno dei propri punti di forza. È un profilo simile a Nico Gonzalez. Quando spinge sulla fascia non ce n’è per nessuno, esattamente come l’argentino».

All’inizio lei ha avuto bisogno di tempo per calarsi nel suo ruolo, ma adesso il vestito le calza alla perfezione. Cosa è cambiato in questo lasso temporale?

«Il campionato italiano è molto diverso rispetto a quello francese, ho avuto bisogno di tempo per integrarmi in questa nuova realtà, conoscere le “regole” di questa Lega. Poi c’è stato l’ostacolo della lingua che un po’ mi ha frenato. Adesso, invece, capisco e riesco a farmi capire dai miei compagni di squadra. Le cose si stanno semplificando con il passare del tempo, per me ma anche per il resto del gruppo. C’era bisogno di conoscenza reciproca, era un dazio inevitabile da pagare. Ma ora siamo tutti pronti a sferrare l’assalto alla stagione».

Che Inter si aspetta?

«Io non penso all’avversario di turno, sono concentrato unicamente sulla Fiorentina, su quello che devo fare io insieme al resto della squadra. Il contorno non mi preoccupa».

È davvero un ostacolo altissimo da superare?

«È sicuramente una squadra ben attrezzata, con giocatori importanti, ma niente è impossibile. Abbiamo lavorato e stiamo continuando a farlo per cercare di mettere insieme la prestazione migliore, che questa è l’unica strada che conosciamo per fare risultato».

In questa stagione, sono arrivati anche per lei i primi applausi da parte della tifoseria. Questo è il miglior Ikoné possibile, oppure Firenze può sognare qualcosa in più?

«Io spero di riuscire a crescere ancora, di migliorare costantemente per mostrare in campo la miglior versione di Ikoné, quella che ancora nessuno ha visto. Lavoro costantemente per questo, senza fermarmi mai. E spero che i frutti possano vedersi sempre di più».

Quanto le hanno fatto male le critiche?

«Nessun male. Ho sempre guardato avanti, scrollandomi di dosso tutto, pensando solo a mettere in luce le mie qualità. Le critiche, comunque, sono indice d’amore. C’è chi evidenzia i tuoi lati positivi e chi, invece, mette in luce i tuoi nervi scoperti. Il calcio è anche questo, giocatori che vengono criticati se non fanno bene o, al contrario, che vengono esaltati dopo prestazioni importanti. Sarebbe giusto trovare sempre la via di mezzo, ma non mi lamento. Piuttosto, sono dell’idea che sia tutto l’ambiente intorno a fare la differenza. Penso, per esempio, alla serenità che può avere un giocatore grazie anche alla sua famiglia: ecco, è questo il valore aggiunto, che ti permette di rendere al massimo in campo».

Il presidente Commisso, invece, per lei, ha sempre avuto parole di stima e di incoraggiamento. Non ha mai avuto dubbi sulle sue qualità.

«Il nostro è un presidente che ama moltissimo i suoi giocatori, li rassicura, sottolinea le loro buone prestazioni. Ci è vicino, sa sempre quali parole usare a seconda del momento che stiamo vivendo»,

Vincenzo Italiano che consigli le ha dato?

«È un allenatore che conosce veramente il calcio, che lo ama in maniera viscerale. Accompagna le mie scelte, le mie decisioni. Con lui lavoro molto, cerco di seguire alla lettera le sue richieste, tra attenzione ai particolari e visione di gioco».

La corsa al settimo posto in campionato, secondo lei è ancora possibile?

«Siamo al rush finale in campionato, adesso più che mai dobbiamo dare tutto, senza freni. Poi verrà quello che verrà, ma se non altro non avremo alcun rimpianto. L’obiettivo non è tanto il piazzamento, quello è riduttivo. È non accontentarsi, provare ad alzare sempre più l’asticella della sfida. Lo ripeto ancora una volta: conta dare tutto, solo quello».

In questo aprile, giocherete nove partite in 29 giorni. Le è mai successo, in passato? È la normalità per una squadra che punta a stare stabilmente nel gruppo delle big?

«Mi è già successo al Lille, di giocare tante partite, spesso ravvicinate, tra Ligue 1, Champions League o Europa League, Coppa di Francia e Coppa di Lega (poi eliminata, a partire dal 2020, ndr). Quello che conta è avere ancora la strada aperta su più fronti: questo per noi, per la Fiorentina è un bene. Il nostro unico pensiero deve essere quello di provare ad ottenere buoni risultati. Come? Non fermandoci mai».

Come si gestisce la fatica?

«Recuperando bene attraverso le ore di sonno, mangiando in maniera corretta e mettendoci subito alle spalle ogni gara».

Vincere è la ricetta migliore?

«Si, la soluzione migliore è questa (ride, ndr)».

Dove può arrivare la Fiorentina?

«Dobbiamo dare tutto e non accontentarci, poi vedremo dove riusciremo ad arrivare. Adesso pensiamo a essere protagonisti. L’obiettivo è quello di vincere un titolo, per questo non intendiamo fermarci».

Sono passati oltre 20 anni dall’ultimo trofeo conquistato in riva all’Arno. Ikoné è pronto a sollevarne uno?

«Spero di si, conquistarlo già in questa stagione sarebbe bellissimo. Io e i miei compagni siamo pronti a farci interpreti della storia».

Coppa Italia o Conference League: quale coppa vorrebbe mettere in bacheca Jonathan Ikoné?

«Io voglio vincere. A me non interessa in quale posizione chiuderemo la stagione, io punto solo a dare il massimo, fino all’ultimo istante possibile. Perché scegliere. Proviamo a prenderci tutto».

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