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L’inchiesta

Firenze, fingono di importare dalla Cina per rivendere all’estero: scoperta frode da 90 milioni

di Redazione Firenze
Firenze, fingono di importare dalla Cina per rivendere all’estero: scoperta frode da 90 milioni

Due cinesi in carcere, quattro all’obbligo di dimora. Il deposito della merce era a Sesto Fiorentino

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FIRENZE. Una maxi-frode da circa 90 milioni di euro sull’Iva e sui dazi doganali è stata scoperta dalla Guardia di Finanza, che ha smantellato un collaudato sistema di importazioni illecite dalla Cina.

Il meccanismo era quello della merce introdotta in Italia come destinata ad altri Paesi dell’Unione europea, mentre in realtà veniva rivenduta sul territorio nazionale. Un escamotage che, sfruttando la cosiddetta “procedura doganale 42”, consente di evitare il pagamento immediato dell’Iva, scaricandolo su un acquirente estero che nella maggior parte dei casi è solo un prestanome. Il deposito operativo del gruppo è stato individuato a Sesto Fiorentino. L’operazione è stata battezzata Broken Wall, “muro che si rompe”.

L’indagine, condotta dal Nucleo di polizia economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Firenze e dall’Agenzia delle dogane e dei Monopoli, sotto il coordinamento delle Procure europee di Bologna e Torino, ha disarticolato una rete che per anni ha alterato la concorrenza nel mercato europeo immettendo merci sottratte al pagamento dei diritti di confine.

Il bilancio dell’operazione è di sei misure cautelari — due arresti in carcere e quattro obblighi di dimora — e sequestri per oltre 19 milioni di euro. Secondo gli inquirenti, il sodalizio, composto da soggetti di origine cinese, avrebbe gestito un flusso continuo di prodotti dichiarati come destinati a clienti comunitari, ma in realtà destinati al mercato italiano, dove venivano venduti a prezzi ribassati grazie all’evasione dell’imposta.

Il cuore della frode era l’abuso della procedura 42, che permette l’immissione in libera pratica senza il versamento dell’Iva se la merce è diretta verso un altro Paese Ue, dove l’imposta dovrebbe essere pagata. Nella realtà, però, i beni non lasciavano mai l’Italia: dopo lo sdoganamento entravano direttamente nella distribuzione nazionale, mentre falsi documenti di trasporto e di vendita simulavano cessioni intracomunitarie a società compiacenti.

Per rendere credibile lo schema, la rete si appoggiava a un deposito fiscale a Sesto Fiorentino e a una costellazione di aziende italiane e straniere utilizzate come schermo. L’inchiesta ha inoltre fatto emergere l’uso distorto anche della procedura 45, che regola i depositi Iva: le imprese coinvolte prelevavano la merce con autofatture e producevano ulteriori documenti fittizi per mascherare una distribuzione che, in realtà, avveniva in nero sul territorio nazionale, con l’Iva che non veniva mai versata.

Ancora una volta, secondo gli investigatori, il deposito di Sesto Fiorentino rappresentava l’hub logistico cruciale per occultare la reale destinazione delle merci e portare avanti la frode su larga scala.

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