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Prese l’epatite C dal sangue infetto: ministero condannato a risarcire – Il caso in Toscana

di Pietro Barghigiani

	(foto di repertorio)
(foto di repertorio)

Oltre un milione di euro di risarcimento ai familiari della donna deceduta nel 2018: «Quelle trasfusioni cambiarono per sempre la sua vita»

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FIRENZE. Quelle trasfusioni di sangue infetto da epatite C, avvenute in occasione di una gravidanza e di successivi ricoveri, cambiarono per sempre la vita di una signora fiorentina. E di riflesso, e in peggio, anche quella del marito e dei due figli. Dopo una battaglia legale andata avanti per trent’anni, segnata anche dal decesso della donna nell’estate 2018 all’età di 68 anni, ora la Corte d’Appello ribalta la sentenza di primo grado del Tribunale fiorentino del 2023 e condanna il ministero della Salute a risarcire i familiari della vittima con circa 1,3 milioni di euro.

I magistrati della quarta sezione civile (presidente Mori, Paternostro relatrice e Caporali) rimettono, inoltre, la causa a ruolo, limitatamente alle domande di danno biologico psichiatrico presentate dal vedovo. Un periodo di somministrazione del plasma avariato è stato dichiarato prescritto.

I ricoveri

Il parto risale al 1978 in una casa di cura privata, le due interruzioni di gravidanza nel 1979 e nel 1980 all’Arcispedale S. Maria Nuova di Firenze. Sono i momenti in cui alla donna viene dato l’emoderivato infetto. La prima causa risale al 1995, ma l’indennizzo, dopo ripetuti rifiuti, viene concesso solo nel 2014. Non basta. Sia la signora che i suoi familiari insistono per vedersi riconosciuto un risarcimento dallo Stato che non ha vigilato sulla qualità del sangue usato nelle trasfusioni. Sono migliaia i casi in tutta Italia di pazienti che alle patologie originarie per cui chiedevano di essere curati, sono usciti dagli ospedali anche con il fardello dell’epatite C. La vicenda della signora fa parte di quella realtà dolente.

La consulenza

Nella consulenza agli atti, valorizzata dai giudici d’appello, si legge che nel 1978 in una clinica privata la paziente «ha ricevuto una iniezione di Partobulin prodotto dalla ditta Immuno Vienna». Stesso emoderivato nel 1979 e nel 1980 nei due ricoveri nell’ospedale pubblico. «Anche il Partobulin come tutti gli emoderivati viene prodotto da un grosso pool di donatori immunizzati ad hoc e remunerati per sottoporsi a tale procedura, con l’antigene RH – prosegue la consulenza – È noto in letteratura che fino al 1985 tutti i prodotti estratti dal plasma dei donatori a pagamento erano inquinati da tutti i virus ematogeni conosciuti. Solamente nel 1986 con l’introduzione dei metodi virucidi messi in atto dalle industrie degli emoderivati, tale contaminazione virale è stata ridotta a livelli di quasi completa sicurezza. È quindi estremamente certo che la paziente sottoposta ad altre iniezioni di Partobulin plasma derivato sicuramente contaminato da virus ematogeni, si è infettata con il virus HCV all’epoca non ancora conosciuto».

La sentenza

Mancati controlli, vigilanza assente e responsabilità per la salute dei pazienti presi in carico dal momento in cui vengono ricoverati. Le contestazioni al ministero della Salute vengono messe in fila dalla Corte d’Appello che definisce il perimetro delle mancanze colpose dell’apparato statale.

«In adempimento degli specifici obblighi imposti dalle fonti normative speciali – scrivono i giudici – (il ministero, ndr) era tenuto anche anteriormente alla data di individuazione del virus Hcv a controllare che il sangue utilizzato per le trasfusioni o per gli emoderivati fosse esente da virus e che i donatori non presentassero alterazioni delle transaminasi. Ne discende, sul piano soggettivo dell’illecito, che assume rilievo decisivo l’incauta somministrazione di emoderivati in violazione di specifiche regole, da ritenersi sussistente nel caso di specie in difetto di prova – da parte dell’autorità sanitaria – che il sangue utilizzato nelle fiale di somministrate alla fosse stato oggetto di tutti i controlli imposti normativamente».

Nessun accertamento sulla qualità delle sacche di plasma o di emoderivati prima che venissero somministrati ai pazienti. Un’omissione che negli anni ha creato un esercito di contagiati da epatite C che adesso vanno risarciti.

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