L’inchiesta
Tav, dodici anni dopo: tutti assolti tranne uno. E i fanghi sono ancora lì
Firenze, inquinamento e prescrizioni: chiuso il primo grado sull'Alta velocità
FIRENZE. Il processo che per dodici anni ha aleggiato come una nube tossica sul cantiere del tunnel Tav si è chiuso oggi in primo grado con un verdetto che suona come una resa giudiziaria: una sola condanna, sette proscioglimenti per prescrizione, due assoluzioni e una società multata. Fine. L’unico condannato è Oliviero Bencini, ex responsabile amministrativo della Ecogest Spa, la ditta che tra il 2009 e il 2010 riversò 66.000 tonnellate di fanghi di scavo nei campi di Rappuoli, una località rurale nel Mugello, presentandoli come innocua terra da destinare all’agricoltura. In realtà, secondo l’accusa, si trattava di scarti inquinati provenienti dai lavori preliminari della grande talpa Tav, la fresa mai entrata davvero in azione sotto Firenze. Condanna a un anno e dieci mesi, interdizione dall’attività e obbligo di ripristinare lo stato ambientale compromesso. Ma soprattutto: dovrà risarcire la Regione Toscana, costituitasi parte civile. È il solo a pagare davvero.
Il verdetto del tribunale di Firenze, presieduto da Paola Belsito, salva il resto della lunga filiera di appalti e subappalti, tecnici e trasportatori, ingegneri e imprenditori. Coopsette, Italferr, Varvarito Lavori, HTR, Veca Sud, Hydra: nomi noti nel circuito delle grandi opere, che qui erano finiti nel mirino per presunto traffico illecito di rifiuti. Accuse forti, poi ridefinite – e di fatto svuotate – nel tempo: il reato principale è stato riqualificato in “gestione non autorizzata di rifiuti”, fattispecie più leggera e ormai prescritta. Così, il tribunale ha dichiarato il non luogo a procedere per sette imputati, prosciolti: tra questi Paolo Bolondi, Matteo Forlani, Franco Varvarito, David Giorgetti, Stefano Bacci, Matteo Bettoja e Lazzaro Ventrone. Assolti invece Valerio Lombardi e Renato Casale, allora in quota a Italferr, la società del gruppo FS incaricata della direzione dei lavori. Nessun reato, secondo il collegio di primo grado.
Sul fronte aziendale, una sola sanzione: Nodavia, la società consortile che gestiva il cantiere (oggi sostituita da Rfi), è stata condannata per illecito amministrativo con una multa da 100.000 euro. Una cifra contenuta, se rapportata all’impatto dell’inchiesta.
Era il 2012 quando la procura di Firenze aprì il fascicolo. I fanghi nei campi, le autorizzazioni opache, le analisi ignorate. E poi i nomi, i ruoli, le filiere. Per anni è sembrata la versione fiorentina della “terra dei fuochi”. Ma in giacca e cravatta. Nel 2024, prima di trasferirsi in Cassazione, il pubblico ministero Giulio Monferini aveva chiesto condanne pesanti: fino a cinque anni per dieci imputati. Una requisitoria d’impatto, che però non ha retto di fronte alla lentezza del procedimento e alla fragilità di alcune prove. Il cantiere Tav ha corso più veloce della giustizia. E oggi la talpa scava davvero. Il progetto Tav a Firenze è ripartito. Le fresa “Iris” e “Marika” hanno cominciato a scavare il tunnel (due gallerie parallele da 6 chilometri) da Campo di Marte verso la nuova stazione Foster a Belfiore. La terra che esce dalla pancia della città oggi viene monitorata, tracciata, registrata al grammo.
Ma resta il dubbio, la sensazione che qualcosa sia andato perso. La sentenza di ieri non riscrive la storia, ma la chiude in archivio. E lascia aperte le domande: chi ha controllato? Chi doveva vigilare? E soprattutto: come è possibile che tonnellate di rifiuti abbiano viaggiato per mesi sotto gli occhi di tutti, senza che nessuno vedesse?