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Morto a 63 anni Roberto Guadagnolo: volto controverso del Calcio Storico

Morto a 63 anni Roberto Guadagnolo: volto controverso del Calcio Storico

Calciante dei Verdi negli anni ’80, ha attraversato la vita tra la gloria sul sabbione e lunghi periodi di reclusione, segnato da violenze, processi e solitudine

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FIRENZE Firenze piange la scomparsa di Roberto Guadagnolo, 63 anni, calciante storico dei Verdi di San Giovanni. Sabato sera, i vigili del fuoco hanno trovato il suo corpo senza vita nella casa in Oltrarno. Da giorni non rispondeva al telefono: la notizia della morte ha colpito la città, richiamando alla mente un volto e un’esistenza difficili da dimenticare.

Nei primi anni '80, Guadagnolo era già un personaggio noto per la sua indole violenta. Risse, pestaggi, urla improvvise: a Firenze il suo nome evocava timore. Fu accusato in un episodio alle Cascine di tentato omicidio. In quel caso, durante le udienze, salì sul banco del giudice indossando una toga, afferrò l’estintore e gridò “La faccio io giustizia!”, trascinando la scena in un caos surreale. Era un uomo di gesti estremi, in bilico tra disperazione e smisurata rabbia.

La sua vita si è svolta tra carceri e internamenti psichiatrici. Vent’anni di carcere, di isolamento, di violenze subite e sferrate. In carcere a Livorno fu vittima di pestaggi, ma anche autore di atti di insubordinazione, pur di affermare uno spirito indomito o una sofferenza trattenuta a stento. Era stato anche all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo, dopo una vita segnata da errori e fragilità.

Nel 2020, dopo un periodo ai domiciliari, tornò nuovamente al centro delle cronache per aver minacciato la madre con un taglierino, barricandosi in casa e costringendo le autorità a un intervento delicato. Anche allora emerse la sua incapacità di vivere secondo regole, e il limite sottile tra violenza e disagio psicologico.

Eppure, non era solo l’uomo delle cronache. Era un calciante: vestì la maglia verde dei Verdi, esordì nel 1980 e nel 1984. Amatissimo da Gianluca Lapi, figura storica del Calcio Storico, che sabato ha scritto parole commosse: “Avevi uno spirito troppo forte… ti ho voluto bene come un fratello. Spero che ora tu abbia trovato la pace che tanto cercavi”.

Il suo nome resta legato al sabbione di Piazza Santa Croce e ai cori, al calore primordiale del Calcio Storico, dove la regola è la lotta. Sul campo, per quanto incostante, dava tutto: era quella contraddizione fatta persona, un uomo che cercava sé stesso anche nella violenza, forse per placare una sofferenza che nessuno sapeva curare.

Il suo passato, tra tribunali e carceri, racconta di un uomo che non ha mai trovato una forma stabile di pace, né dentro né fuori. Il suo era un urlo contro un mondo che forse non riusciva a contenere la sua tensione, e un movimento continuo tra desiderio di rivalsa e richieste d’aiuto inascoltate.

Ora che la sua voce si è spenta, resta il ricordo di una figura controversa, quindi, eppure iconica. Guadagnolo muore solo ma accompagnato da una memoria collettiva che lo inserisce senza sconti nella storia di questa città: quella del Calcio Storico, del margine e della fragilità. E forse, nella morte, troverà finalmente quella pace tanto evocata dai suoi pochi amici, tra cui Lapi, che ha visto in lui non solo un calciante, ma un’anima in tempesta.

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