Gli ruba il conto corrente e i soldi, la banca non lo risarcisce: il tribunale dà ragione all’istituto
Vittima un fiorentino, che ha perso 155mila euro a causa di un furto d’identità. L’uomo farà ricorso
FIRENZE. Da un giorno all’altro si è ritrovato il conto corrente svuotato di 155.000 euro, e la sua banca ha rifiutato di risarcirlo. E a nulla è valso portare l’istituto di credito davanti a un giudice, perché il tribunale civile di Firenze, oltre a negargli il risarcimento, lo ha anche condannato al pagamento delle spese processuali. Il protagonista della sfortunata vicenda è un quarantenne fiorentino.
La vicenda, arrivata alla sentenza di primo grado il 14 settembre scorso, è iniziata oltre dieci anni fa, nel 2013. Un truffatore ha rubato l’identità del correntista, inoltrando a suo nome alla banca una richiesta per attivare un servizio per la spedizione della corrispondenza a un indirizzo diverso di quello di residenza. In questo modo il malfattore ha dirottato tutte le comunicazioni bancarie destinate al quarantenne a un indirizzo nella sua disponibilità. Grazie a questa documentazione riservata, ci ha messo davvero poco a venire a conoscenza di un conto corrente bancario intestato alla vittima, sul quale era attivo un servizio di web banking. Una volta carpiti i dati di accesso, sempre grazie alle comunicazioni postali dirottate, ha eseguito operazioni di vendita di titoli per 155.000 euro, che poi ha fatto confluire in conti a lui riconduci bili.
La vittima, venuta a conoscenza dell’accaduto, ha avvito un procedimento di mediazione con la banca, ma non è stato possibile trovare un accordo. Di qui la decisione di andare in tribunale. L’uomo, assistito dall’avvocato Ilaria Pacini del foro di Firenze, ha chiesto il risarcimento dei 155.000 euro volatilizzatisi dal suo conto e anche 50.000 euro di danni morali ed esistenziali, derivanti, si legge nella sentenza, «dalla violazione del diritto costituzionale alla segretezza ed inviolabilità della corrispondenza.
Nell’atto con cui ha citato l’istituto bancario davanti al giudice, il correntista ha sottolineato come il truffatore che aveva chiesto di attivare il servizio di deviazione della corrispondenza si fosse spacciato per lui usando «una carta d’identità visibilmente contraffatta, senza che impiegati e funzionari se ne avvedessero». Il documento, si apprende dalla sentenza, era falso in modo così palese che riportava la dicitura “connotati” alla voce “professione”.
Tuttavia tutto questo non è bastato a ottenere il risarcimento. Secondo il tribunale, dalla documentazione prodotta dalla vittima non sarebbe stato provato in che modo il furto della corrispondenza avrebbe consentito al presunto truffatore di operare sul conto e prendere i soldi. Non sarebbe stato provato insomma il «nesso causale» tra l’inadempimento della banca, consistito nel non aver notato che il documento era palesemente falso, e le operazioni di svuotamento del conto corrente. Il correntista, si legge, «non ha fornito prova neppure presuntiva delle missive recapitate a terzi, che avrebbero fraudolentemente utilizzato le informazioni ivi contenute».
L’avvocato Ilaria Pacini ha annunciato l’intenzione di impugnare la decisione in appello.