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Firenze, un Duomo in technicolor – Video

di Sabrina Carollo

	Restauratori all’opera durante le pulizie della Porta
Restauratori all’opera durante le pulizie della Porta

Il restauro della Porta dei Cornacchini ha portato alla luce i veri colori della cattedrale. «C’erano sculture dipinte che avevamo dimenticato e che ora iniziamo a scoprire»

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FIRENZE. Il restauro della Porta dei Cornacchini ha confermato quella che era un’ipotesi di studio da tempo, e cioè che il colore del Duomo non fosse dato solo dalle sfumature dei differenti tipi di marmi, bensì anche dai gruppi scultorei che lo ornavano. Altro che secoli bui insomma: dalla pavimentazione in cotto alle case affrescate, e naturalmente alla Cattedrale ornata di statue policrome, Firenze era molto diversa dallo stile sobrio lorenese in cui è stata virata durante l’Ottocento, piuttosto espressione di una «spiritualità gioiosa», come l’ha definita Monsignor Timothy Verdon, direttore del Museo dell’Opera del Duomo.
Iniziato nel settembre 2021, il restauro della Porta nord del Duomo sarebbe dovuto durare pochi mesi, ma la scoperta, dopo le prime prove di pulitura, di estese tracce di colore sul gruppo scultoreo in marmo della Madonna col Bambino e Angeli adoranti, collocato sopra la porta e realizzato tra il 1359 e il 1360, ha convinto gli esperti a procedere con ulteriori indagini diagnostiche per comprendere a fondo le caratteristiche del lavoro. Con l’occasione è stata poi aumentata la superficie da restaurare, che si è ampliata alla fine per tutta la parete nord, fino alla facciata, per oltre mille metri quadri di superficie. «Non ci aspettavamo che il colore fosse così esteso», ha spiegato Beatrice Agostini, direttrice dei lavori di restauro. «Le parti ancora colorate riguardano l’occhio sinistro della Madonna e la sua veste, in azzurrite e malachite con dorature, tracce di rosso nei capelli, ocra per gli angeli e una decorazione damascata sulla veste del bambino».

In precedenza erano stati individuati minuscoli segni di doratura e di colore azzurro su altre sculture della Cattedrale, che avevano fatto sospettare appunto una più diffusa policromia degli elementi decorativi, ma mai con una tale estensione. Completamente coperto da guano e sporco superficiale ma anche sciupato da interventi estetici e conservativi eseguiti nei secoli precedenti, il gruppo scultoreo è ora tornato a mostrarsi in tutto il suo splendore, non solo dato dai colori ma dai dettagli dei visi che erano quasi spariti a causa delle stratificazioni di materiale. Gran parte della superficie rimane scura, a causa di uno strato di ossalato che ha coperto le tonalità originali, conferendogli il caratteristico colore bruno: si tratta probabilmente di uno scialbo, cioè un rivestimento dato con funzione estetica e protettiva, che si è modificato nel tempo – doveva essere più chiaro. Come se non bastasse, le indagini hanno dimostrato ulteriori strati tra cui uno realizzato con un prodotto al fluorosilicato, steso in un intervento degli anni ’50 del secolo scorso. In accordo con la Soprintendenza, gli specialisti hanno deciso di rimuovere la maggior parte di depositi superficiali ma di lasciare lo strato bruno, perché è un protettivo naturale del marmo – e infatti la scultura risulta in buono stato conservativo. Le altre decorazioni della porta sono state recuperate con specifiche tecniche al laser e impacchi di reagenti; particolare attenzione hanno richiesto i due leoni stilofori, a cui mancano alcune parti del corpo.
Fondamentale è stato il contributo della Fondazione CR Firenze, grazie al quale è stato possibile proseguire l’attività anche durante il periodo della pandemia, con 120 professionisti impegnati nelle diverse tipologie del restauro, come ha specificato il presidente Luigi Salvadori. «Per una chiesa, la porta ha un significato molto importante, perché rappresenta il passaggio tra la divinità, la spiritualità e la vita esterna», ha spiegato il cardinale di Firenze Giuseppe Betori. «In particolare la Porta dei Cornacchini era quella dirimpetto alle mura della città, da cui entravano i carichi di lana da lavorare, legata quindi all’economia, alla vita civile, illuminata in questo modo dalla luce della Chiesa». Proprio per questo transito di balle di lana, la porta era conosciuta anche come Porta di Balla, oltre al suo nome ufficiale dovuto al patronimico di una famiglia proprietaria di alcune case della zona. La prima notizia storica che testimonia l’esistenza della Porta dei Cornacchini risale al 4 gennaio 1358 quando, durante i lavori per la costruzione della Cattedrale, si studiò una soluzione per erigere le murature esterne «senza tochare la porta», che quindi esisteva già. Le decorazioni della porta sembrano essere state realizzate in tre fasi successive: dopo una prima incorniciatura nel 1342 ne seguì una successiva di dieci anni circa diretta da Francesco Talenti che fece realizzare le strombature, l’archivolto e la cuspide, fino all’ultima fase arrivata alla fine del Trecento, in cui vennero aggiunte le sculture dei leoni, le colonne e il tabernacolo.
Il restauro è stato commissionato e diretto dall’Opera di Santa Maria del Fiore con il contributo della Fondazione CR Firenze, sotto l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato, ed eseguito dai restauratori della Leonardo Srl. 
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