Viareggio, i pescatori tornano in mare dopo due mesi di fermo totale
Malfatti (Cittadella della pesca): «Ma i problemi rimangono». L’ufficialità è arrivata soltanto nella giornata di sabato: le barche potranno lavorare per 4 giorni a settimana
VIAREGGIO. C’è il via libera ufficiale. A partire da stamattina i pescherecci viareggini – insieme a quelli del resto del Mediterraneo Occidentale (composto da mar Ligure, mar Tirreno e mare di Sardegna) – potranno tornare in mare e pescare a strascico. Un nulla osta per niente scontato, a cui i pescatori e le loro famiglie avevano affidato tutte le loro speranze dopo due mesi in cui erano stati costretti a restare costantemente sulla terraferma. Prima per il fermo biologico previsto per il mese di ottobre (come ogni anno), e poi per l’inattesa sospensione della pesca a strascico per tutto novembre.
Un blocco che ha comportato una crisi senza precedenti per i pescatori e che ha messo in ginocchio l’intero settore, che a Viareggio conta una quarantina di imprese per un totale di circa 200 lavoratori. «Da oggi finalmente possiamo tornare a prendere una boccata d’ossigeno, anche se sopravvivere a questi due mesi di stop è stata durissima – commenta Alessandra Malfatti, presidente della cooperativa di produttori Cittadella della pesca di Viareggio – la comunicazione ufficiale è arrivata in realtà solo sabato, fino all’ultimo siamo rimasti tutti con il fiato sospeso, ma venerdì la voce aveva iniziato a circolare con maggiore concretezza e così le barche sono riuscite a fare rifornimento e tutti hanno presentato le dovute carte alla capitaneria per poter tornare subito a lavorare. È la fine di un calvario – spiega – ma purtroppo la situazione continua a preoccupare. Intanto perché riprendiamo il nostro lavoro ma solo per 4 giornate a settimana anziché le 5 giornate che in inverno rappresentano lo standard: i giorniconcessi alla pesca sono infatti state ridotte da 5 a 4 durante il periodo estivo ma d’inverno sono rimaste sulla misura ordinaria, invece vista la penuria denunciata dal Ministero di giornate di pesca rimaste a disposizione nei nostri mari dobbiamo ridurle anche in questo dicembre per garantire a tutti di poterne usufruire. La speranza è che non ci siano episodi di maltempo, o le possibilità di lavorare si assottiglieranno ancora di più».
La causa del blocco straordinario a novembre è infatti proprio legata al numero di giornate di pesca a disposizione per l’area di mare interessata dal blocco: in pratica, secondo il Ministero (che già aveva ridotto il numero di giornate a disposizione di ogni imbarcazione) erano state “consumate” più giornate di pesca – anche per l’accesso al mar Tirreno settentrionale garantito a imbarcazioni di Mazara del Vallo – rispetto alla norma, e quindi era necessario imporre un fermo alle barche per non eccedere nei limiti annuali. «Ma a mio parere – spiega Malfatti – il conteggio è stato sbagliato, anche se è difficile provarlo perché il Ministero non ha una conta precisa né ci fornisce il metodo utilizzato per calcolare il dato che, secondo quanto si riporta, registrerebbe 7mila giornate in eccedenza. Il fatto è che l’errore può essere dietro l’angolo – spiega – perché secondo la normativa europea la giornata di pesca deve essere calcolata se partenza, rientro e sbarco avvengono all’interno delle 24 ore: quindi partendo alle 22 e rientrando alle 20 del giorno successivo questo termine viene rispettato. Secondo me invece – conclude – dal Ministero hanno contato due giorni anziché uno soltanto. E questo ha comportato il divario».
Fatto sta che, nonostante le proteste, i pescatori sono rimasti al palo «con un danno enorme da gestire per il nostro settore – commenta Malfatti – la cosa che più ci lascia amareggiati però è che manca una prospettiva: è stata proposta una riduzione ulteriore del 64% delle giornate di pesca annuali previste. Sarebbe una tragedia: se si pensa che l’anno scorso una barca in media ha fatto tra le 140 e le 160 giornate di pesca all’anno, riducendole di oltre la metà si arriverebbe a lavorare meno di un lavoratore stagionale. Questo scenario – dichiara – implica che manca una visione non solo su come salvare il settore della pesca, ma proprio su come gestirlo. Basti pensare al caso ristori, visto che ancora non sono state completate le graduatorie per il 2024 né sono state individuate risorse per pagare i ristori del 2025, soprattutto per il mese di novembre. E poi niente viene fatto per contrastare la pesca illegale, che è molto diffusa anche nella nostra zona: basti pensare alle arselle – conclude – secondo i dati degli imbustamenti al mercato ittico non ne abbiamo insacchettato in un anno più di 200 chili, tanto che alle ultime aste si sono raggiunti prezzi esorbitanti di 16-17 euro al chilo. Ma in tutti i ristoranti lo spaghetto con le arselle fresche lo si può trovare continuamente. Numeri alla mano, questo è possibile solo perché si acquista da chi non ha la licenza per fare questo lavoro».
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