Il Tirreno

Versilia

L’intervista

Alessandro Ferrarini e la stella riconquistata: «I miei piatti del cuore? Il risotto e l’ossobuco»

di Irene Arquint
Lo chef Alessandro Ferrarini (Sciabola)
Lo chef Alessandro Ferrarini (Sciabola)

Forte dei Marmi, lo chef lombardo allievo di Gioacchino Pontrelli è passato da Francomare alla Sciabola

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FORTE DEI MARMI. Che sullo sparato di Alessandro Ferrarini scintilli nuovamente il riconoscimento della Michelin, non stupisce granché. Perché il poco più che quarantenne lombardo già aveva sedotto la Rossa al tempo di Francomare. Cavallo di razza, fu infatti lui ad aggiudicarsi la stella nel 2020 nell’allora ristorante sul lungomare di Marina di Pietrasanta. La proprietà ne ha però cambiato la filosofia, motivo per cui, in vista dell’estate di due anni fa, uno scalpitante Ferrarini accetta la proposta della famiglia Pippucci di prendere in mano i fuochi di un ristorante in divenire.

La Sciabola è infatti un’insegna di recente apertura al pubblico, dato che fino all’estate 2023 serviva solo i clienti dell’albergo. Ma da tre stagioni le rinnovate cucine dell’hotel St. Mauritius si sono lanciate in una sfida, cavalcata con entusiasmo dal cuoco formatosi all’alberghiero di Varese ed entrato in Versilia dalla porta principale della cucina di Lorenzo.

La storia

Appena diciannovenne nel 2002 raggiunse infatti Gioacchino Pontrelli (lo chef più longevo dell’incontro versiliese con i primi “macaron”) per un’esperienza altamente formativa, bissata quattro anni più tardi. Ed oggi la sfida è vinta, la stella lo ha inseguito e nuovamente raggiunto trovandolo impegnato in ricette di mare e ingredienti del territorio. Nonostante inserisca qualche portata di terra come un piccione di cui non spreca nessuna parte, il suo menù è centrato sul pescato. «Fortunatamente possiamo contare su tre pescherecci che solcano il nostro specchio d’acqua, portando a riva anche molte specie considerate meno nobili ma che se lavorate nel modo giusto riescono a dare molta più soddisfazione di varietà note».

C’è un però: per assaggiarne la cucina dovremo attendere aprile, perché segue il periodo di stop dell’hotel, appena chiuso per la pausa invernale.

Chi sono stati i suoi insegnanti?

«Mia madre Rosi mi ha trasmesso la passione per il cibo semplice preparato con amore. E poi il professore di cucina Andrea Ferro che mi ha accompagnato con entusiasmo nei primi passi a scuola. Senza dimenticare Gioacchino Pontrelli e non ultimo Silvio Battistoni dello Schuman a Ispra, dove mi fermai per tre anni a cavallo fra le due esperienze con Pontrelli».

I piatti in cui si riconosce?

«Da buon lombardo: il risotto. Fra i più apprezzati dell’ultima stagione: con crema di aglio dolce, bottarga, ‘nduja e tartare di gambero rosso. Mi sono ispirato al classico aglio, olio e peperoncino, abbinandogli il resto. Un'altra portata che mi rappresenta è una personale reinterpretazione dell’ossobuco, in cui mescolo tre ricette cardine della milanesità: risotto allo zafferano, ossobuco in umido, cotoletta alla milanese».

Le creazioni di maggiore soddisfazione?

«Il gambero biondo crudo, ceviche, ravanello e caviale perché molto fresco, perfetto come apertura di un menù estivo. La razza con i fagiolini profumati alla menta, salsa olandese e mugnaia, per i giochi a contrasto. Il raviolo con ripieno liquido di burro all’acciuga, uvetta e pinoli da gustare in un solo boccone per un’esplosione al palato».

Dove sta andando la cucina?

«Verso la riconoscibilità. Le persone vogliono capire cosa mangiano. Ci chiedono di privilegiare la semplicità, impiegando materie prime di grande qualità».

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