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Spiagge all'asta, Alessia Berlusconi: siamo imprenditori veri e seri

Franco A. Calotti
Alessia Berlusconi e un tramonto al bagno Alcione a Roma Imperiale
Alessia Berlusconi e un tramonto al bagno Alcione a Roma Imperiale

La titolare dell’Alcione: vittime di tanti luoghi comuni, colpa anche della categoria. «Ma qui da noi si investe e si assume, come in una qualsiasi azienda sana»

17 febbraio 2022
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FORTE DEI MARMI. Il nome di famiglia è già sinonimo di imprenditoria. E Alessia Berlusconi, figlia di Paolo Berlusconi, il mettersi in gioco ce l’ha nel Dna. Oggi fa la bagnina a tempo pieno, almeno in stagione: «Al mattino sono la prima che arriva al bagno e sono l’ultima ad andarmene la sera, e non ho nemmeno il giorno di riposo».

Un’avventura quella del bagno Alcione, una delle perle di Roma Imperiale, iniziata cinque anni fa. «Da sempre mi occupo delle aziende di famiglia e qualche anno fa ho ceduto anche la mia azienda vitivinicola. Così ora faccio l’imprenditrice balneare. E anch’io, come la maggioranza di coloro che in questi anni hanno investito qui, ho scelto di farlo solo per passione e amore del luogo; è stato così per me, per Bocelli, per i Barilla, per i Pinzauti. Spesso sull’onda dell’amarcord familiare, di un’infanzia spesa a correre sulla spiaggia fortemarmina con la nonna. Si deve partire da questa chiave di lettura. Certo, poi ci sono tutti quelli che hanno fatto davvero la storia del paese, e vi prego di considerare che i servizi accessori (bar, ristoranti eccetera) sono arrivati molto, ma molto tempo dopo».

Il bagno Alcione oggi è una realtà aziendale. E niente veline e calciatori. «Quando sono arrivata però il bagno era in caduta libera, tant’è che l’abbiamo rilevato a un prezzo simbolico, impegnandoci però a pagare i creditori. Abbiamo investito un paio di milioni sulle strutture, abbiamo fatto la piscina e quest’anno finiremo con gli ultimi investimenti».

Veniamo alla questione concessioni. «Dovendo fare grossi investimenti – spiega Alessia Berlusconi – facemmo richiesta al Comune dell’atto formale per un milione e 300mila euro e ci vennero accordati 19 anni di nuova concessione. Attenzione, però: alla fine noi rinunceremo alla proprietà dei nostri beni, mentre per molti anni ancora gli utili andranno a ripagare le banche. Sul piano generale io avrei confermato a tutti la scadenza del 2033, perché su quella data ormai i balneari avevano fatto affidamento per le pianificazioni e gli investimenti. E nel frattempo avrei organizzato bene come riaffidare le concessioni. Invece ora si farà tutto di fretta. Do atto che c’è stato uno sforzo del Governo per risolvere il problema; ma rimangono, a mio giudizio, dettagli di cui nessuno sembra tener conto. Intanto lo Stato, che è il padrone di casa, non conosce a fondo ciò che affitta o dà in concessione e a chi. Una prima mappatura c’è stata, ma era sommaria; servirebbe invece un’anagrafe dettagliata delle imprese che esercitano sul demanio: quante sono, che caratteristiche hanno, l’occupazione che garantiscono, e così via. Perché, pur non essendo il caso del Forte, ci può essere anche una percentuale di concessionari che non hanno valorizzato le proprie concessioni, ma si tratta di casi limite, e punire un’intera categoria non mi sembra corretto».

Certo, l’immagine di voi concessionari non è oggi delle più esaltanti. «Sì, siamo vittime di tanti luoghi comuni: non è vero, ad esempio, che lavoriamo e viviamo grazie a soli tre mesi di stagione: qui al Forte un po’ tutti siamo sul mare da gennaio-febbraio fino a novembre. Sì, i canoni sono oggettivamente bassi, ma non li determiniamo certo noi. Ci facciamo poi carico della sorveglianza della spiaggia, della pulizia dell’arenile tutto l’anno e paghiamo l’Imu come se fossimo proprietari, anche se di fatto siamo inquilini. Infine subiamo l’Iva al 22% contro quella al 10% delle altre imprese turistiche. C’è poi la questione occupazione: nel nostro piccolo, all’Alcione diamo da lavorare a 45 persone. E ora ci troviamo in questa situazione per una sentenza francamente scandalosa e per l’inerzia della politica». Ha sbagliato solo la politica? «No, anche la categoria ha sbagliato a non spiegare negli anni le proprie ragioni e il proprio Dna, lasciando che nascesse un ritratto del settore non veritiero».

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