Il Tirreno

Versilia

AMARCORD VERSILIESE

Gli anni ruggenti di Viareggio: al Casablanca l'epopea dei vitelloni

Adolfo Lippi
Il Casablanca di Viareggio
Il Casablanca di Viareggio

Celebre caffè concerto della Passeggiata, fu immortalato dalle canzoni di Gaber. I protagonisti del mondo che  girava intorno al locale furono gli antesignani degli Amici Miei di Mario Monicelli

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VIAREGGIO. Il Caffè Casablanca, preso dal titolo da uno dei più famosi film con Humphrey Bogart e Ingrid Bergman, fu uno degli ultimi caffè-concerto della Passeggiata di Viareggio. C’erano una volta in città tanti di questi caffè con orchestrine, il Margherita, il Soldi, Fappani, Gianni Schicchi, Galliano. Il Casablanca, di fronte all’hotel Astor, era tra i più rinomati: sorto subito dopo la guerra, di proprietà dei fratelli Baccelli, segnò un’epoca, quella dei vitelloni, gente che giocava a far scherzi da liceali, descritta dal memorabile film di Federico Fellini. Non a caso si racconta che Mario Monicelli, regista viareggino, per Amici miei si ispirasse a personaggi del caffè, rappresentativo tra tutti quel Brunetto conte dell’Assassino che nel film parrebbe somigliare e molto al conte Fiorello Mascetti interpretato da Ugo Tognazzi nella pellicola del 1975. Oggi il Caffè è un rinomato ristorante. Nulla più a che fare col mitico Caffè-concerto. La clientela sono buoni mangiatori italiani e stranieri, tanti, che si fanno squisite catalane e spaghetti allo scoglio. Allora invece...

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Tutto prese il via con l’arrivo degli americani. Dopo anni di tragedie e guerra la gente aveva voglia di dimenticare, divertirsi, sognare coi miti che il cinema hollywoodiano imponeva a piene mani. Le sale che proiettavano Fred Astaire, Ginger Rogers, Gary Cooper, Ava Gardner, erano sempre stracolme e sui viali bande di ragazzini si sparacchiavano come nei film western appena importati. Al Casablanca prese subito alloggio un gruppo di fantasiosi millemestieri, da Gino Cai ad Alpinolo Benetti, da Brunetto dell’Assassino ad Alfeo Bertini a Norge ed Alfredo Simonetti, a Massimo Romanini. Erano gli anni dei trionfi di Giancarlo Fusco, scrittore, giornalista fantastico (era il corrispondente del Nuovo Corriere). Fusco lavorava per il Kursaal dove brillavano le sorelle milanesi Greco (una divenne in arte Sandra Milo), teneva comizi al piazzone per il Pci (epici i suoi contraddittori), organizzava balli da Zio Tom dove fuororeggiava Saba Marroncini, l’industriale del marmo e pittore Franz Furrer, danzava il prof. Sergio Palagi, leader socialista, appariva il dottor Ferruccio Martinotti, farnacista, appena sbarcato dal natio Piemonte. Molti nottambuli si riunivano anche al caffè Provinciali del tenore parmigiano Mario Schiaretti dove di notte, a saracinesche abbassate, si strimpellavano concertini.

Il Casablanca era un’altra cosa. Era, nei frequentatori, diviso in tre categorie: i giocatori di poker o bridge (Giancarlo Giorgetti, Carlo Magni, Franz Arrighini, Adolfo Meciani, Sancho Giusti), gli intellettuali (Sandro Luporini, Gianfranco Ferroni, Lino Manocci, Giovanni Angelici, Mario Monicelli, Taddeo Conca, che era il direttore dell’Unità), gli improvvisatori tra i quali, a capo indiscusso, c’era Brunetto conte dell’Assassino. Era un conte mai verificato. Da anziano fece da presidente di alcune società del gruppo farmaceutico Marcucci. Viveva all’hotel Palace, frequentava lontani paradisi fiscali. Ma da giovane era patitissimo di cinema e non passava produzione di film nella zona tra la Maremma e Massa Carrara che non lo vedesse impegnato a reclutare comparse, a dirigere gruppi di figuranti. Sandro Mallegni, noto e brillante attore viareggino, si ricorda i tanti film che Brunetto interpreta da Tombolo paradiso nero a Crimen di Camerini, da Berlino appuntamento di spie ad Una vita difficile con Sordi, da Frenesia dell’Estate alla Bella di Lodi, l’unico film che Stefania Sandrelli ha girato a Viareggio, sua città. Mallegni assieme a Brunetto fece anche negli anni Ottanta Turno di notte, sceneggiato televisivo di successo, un giallo per la regia di Paolo Poeti.

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Era scopritore di talenti Brunetto. Introdusse Stefania Sandrelli, partecipò alle nozze di Sandra Milo (ancora Greco) con il marchese Cesare Rodighiero, detto il Tuttologo, che partecipò a diverse attività e finì democristiano. Dirigente di cooperative addette alle discariche. Irresistibile affabulatore, il conte dell’Assassino quando voleva vendere la cappella di famiglia al cimitero, quando tentava di smarciare un osso di dinosauro rinvenuto, diceva lui, sulle Apuane. Poi si mise anche a dipingere e si fece far scuola da Gianfranco Ferroni che assieme al mercante Roncaglia bazzicava il Caffè.

Dove tuttavia il genio di Brunetto rifulse fu nelle canzoni che scriveva assieme a Gino Cai ed Alpinolo Benetti. Erano canzonacce, spinose e sboccate. Si intitolavano Canito Mambo, Tombolo, Babbo in bianco. Impossibile riportarne i testi. Erano maledettamente irrisori. Qualche traccia la conserva in nastri di vecchio registratore Massimo Romanini, antiquario ed inventore di quel Porco Rosa che a Piano di Mommio divenne un raduno abituale del mondo di notte. Secondo Romanini l’orchestrina storica del Casablanca era composta oltre ai già citati anche dal chitarrista Michele D’Amico e da Dino La Bianca quella volta in versione chansonnier. Si suonava fino al mattino. Verso le due passava immancabile il maresciallo dei carabinieri Martinelli che intimava di chiudere il locale. Poi, invece, chiudeva un occhio pure lui. Il locale era guidato prima da Giovanni Pancaccini, poi dall’Ongini, detto Il sordo. Costui era vittima di scherzi crudeli, visto l’handicap. Siccome portava un auricolare Brunetto e Alpinolo si mettevano a parlare, con tutti i clienti, a bassissima voce ed il sordo, credendo rotto il suo apparecchio, andava di corsa a farselo sostituire.

Ecco, appunto, i vitelloni. Indossavano il montgomery portato con garbo dal dottor Martinotti (che poi sarebbe stato proprietario de Il Palace, presidente del Viareggio calcio e dell’Azienda autonoma di soggiorno). Ed inventavano personaggi e storie. Una volta a bordo di un taxi offerti dall’ospite, che era Guido Angeli, quello di «Provare per credere» con Aiazzone, corsero a Lugano. Qui durante una festa furono assaltati da un gruppo di uomini armati di mitra che simularono una rapina. Vi fu spavento generale tra le belle signore svizzere ingioiellate. Ma era tutto uno scherzo inventato da Guido Angeli. Tra i protagonisti dicono vi fosse anche Mimmo D’Alessandro (che al tempo lavorava con Angeli) che adesso è la star in Italia e non solo dei concerti rock. Suo il Summer Festival di Lucca. Un’altra volta Brunetto conobbe il pittore tedesco Werner che era approdato con un veliero nel porto di Viareggio. Era il marito di Bata quella delle scarpe. Le sue caratteristiche erano: gran bevitore, allevatore di una leonessa, grande incisore di grafica. La leonessa da piccola crebbe dei pressi del Santa Monica e quando presero ad udirsi i ruggiti la popolazione insorse e cacciò Werner prima a Calci di Pisa poi a Fasano allo Zoo-park. Brunetto, Alpinolo, Romanini andavano spesso a cucinare da Werner e spesso la leonessa mollava loro qualche robusta zampata d’amore. Al Casablanca, silenzioso e fuggente, stette alcune sere anche Giorgio Gaber sodale di Luporini. Ma chi ne prese lo spirito fu Mario Monicelli e molti degli scherzi di Amici miei sono ripresi dalle avventure di Brunetto, attore, fantasista, dirigente d’azienda, autore di canzoni, cantante, protagonista di una Viareggio che non c’è più.

Tutto finì col Sessantotto quando il Casablanca lo presero a frequentare un gruppo di giovanotti belli e politicizzati. Ne ha ricordo vivo Piero Petrucci (proprietario della Barca di Forte dei Marmi). Erano Alfredino Malfatti (poi regista con Salvatore Samperi), Umberto Simoncini (poi imprenditore d’arte in Germania con Kounellis e Spoerri e Castellani) Claudio Righini, Edoardo Boccaccini, Simone Simonetti, lo scrittore Andrea Luisi. Da qui in poi sarà tutta un’altra storia.

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