Il Tirreno

Versilia

Quando Viareggio iniziò a giocare al casinò

di PAOLO FORNACIARI
Quando Viareggio iniziò a giocare al casinò

Dal palazzo Cittadella in via Regia al Kursaal: storia di sogni, azzardi e divieti

02 luglio 2014
6 MINUTI DI LETTURA





di PAOLO FORNACIARI

Viareggio e il gioco, un binomio che ha radici profonde nella storia della città. Già nel Settecento, nei palazzi e nelle ville che i nobili lucchesi si erano fatti costruire a Viareggio per trascorrervi la “stagione di quaresima” si giocava smodatamente. Cesare Sardi, nel suo "Viareggio dal 1740 al 1820", scrive: «Il gioco, quel viziaccio de' signori che a metà del Settecento aveva preso proporzioni gravissime, formava per essi un passatempo rovinoso...». Infatti, si ha notizia che nelle veglie in casa Santini «dove più allegramente si giocava», furono messe in palio e perse ingenti ricchezze, tanto che il governo lucchese dovette intervenire per porre freno agli abusi del Biribisso.

La storia del “giuoco” a Viareggio continua nell'Ottocento, con l'istituzione di un Casinò nel palazzo Ferrante Cittadella, in via Regia. Il palazzo era stato ceduto, il 15 settembre 1827, alla comunità di Viareggio da Carlo Ludovico, Duca di Lucca, per la costruzione di una chiesa ed un annesso convento, poi visto che per la chiesa si era provveduto diversamente, il 16 gennaio 1834 autorizzò la richiesta del Governatore di Viareggio di «ridurre una parte del palazzo ad uso di Casino, onde i forestieri che si portano per l'uso di bagni abbiano un locale dove riunirsi nelle ore a questi non necessarie».

Il 2 luglio 1834, fu approvato il primo regolamento del «Casino nella Città di Viareggio» che stabiliva il periodo d'apertura - la stagione estiva ed i giorni del Carnevale - le modalità di accesso e che autorizzava la pratica di tutti “i giochi non proibiti dalla legge”. Quest'ultima disposizione rimase invariata in tutti i successivi regolamenti che furono approvati, fino all'ultimo del 1905, lasciando al bando i “giuochi d'azzardo”, che, comunque, continuarono ad essere praticati nell'illegalità. Il 15 giugno 1907, in Francia, il governo del ministro Clemenceau emanò una legge che sopprimeva le bische clandestine ed autorizzava l'istituzione di casini e circoli privati dove, legalmente, si potevano praticare i giuochi d'azzardo, i cui proventi andavano in parte allo Stato ed in parte alle amministrazioni locali per opere di assistenza e per l'incremento e la valorizzazione dei centri turistici.

L'eco di questa disposizione giunse a Viareggio e così il giorno 8 ottobre 1908 il Consiglio comunale, in una animata discussione, deliberò di richiedere che il Parlamento «votasse senza indugio una legge che disciplini i giuochi nelle stazioni balneari termali e climatiche».

Il Sindaco, cav. Giorgio Paci, nell'introdurre il dibattito consiliare, sottolineò come le stazione balneari straniere, in particolare della Francia, Svizzera e Germania, fossero spietate concorrenti dei centri turistici italiani, proprio utilizzando i cospicui introiti derivanti dai giochi d'azzardo. Inoltre, fece presente che anche Rimini si era già mossa per richiedere la liberalizzazione dei giochi e che altri centri turistici italiani erano interessati al problema.

La proposta di richiedere la legalizzazione del gioco fu messa ai voti ed approvata con 9 voti favorevoli e 6 contrari. Comunque, ancora per molti anni, i giochi d'azzardo continuarono ad essere proibiti dalla legge ed ovunque le bische clandestine continuarono a prosperare. Anche a Viareggio si giocava di nascosto, ma mica poi tanto, secondo quanto si legge sulla rivista mensile "Viareggio!" diretta da Giulio Arcangioli. L'articolo, del 1922, denunciava il diffondersi del vizio del gioco, che risultava molto praticato: si parlava di una dozzina di bische dove, fra l'altro, si segnalava anche la presenza della prostituzione e della droga.

Ma nel confronto fra quanti erano contrari al gioco d'azzardo e quanti invece ne auspicavano la legalizzazione, risultarono vincitori i secondi. Infatti, nel 1924, fu approvata una legge che disciplinava l'attività delle case da gioco e autorizzava la pratica del gioco d'azzardo. Il Regio Decreto n. 636 del 27.4.1924, disponeva che nelle città, riconosciute stazioni climatiche, balneari o termali da almeno 10 anni e che non si trovassero vicine a centri con popolazione superiore ai 200mila abitanti, fosse consentita l'apertura di case da gioco. Per l'istituzione era necessaria l'autorizzazione del Consiglio Comunale, votata da almeno due terzi dei suoi membri, che riconosceva la convenienza e l'opportunità di eventuali case da gioco.

Viareggio aveva tutte le caratteristiche richieste dalla legge e anche una vocazione storica nel gioco. Il Consiglio comunale si pronunciò, all'unanimità, riconoscendo «l'assoluta convenienza e opportunità dell'apertura di una casa da gioco in Viareggio esprimendo il desiderio che sia destinata come sede la zona a mare della città, prescegliendo una fra le idonee località ivi esistenti». Si vedeva nel gioco un mezzo capace di aumentare il numero dei turisti, che già numerosi si recavano a Viareggio. Si calcolava, con i proventi destinati alle casse comunali, di realizzare un vasto programma di opere pubbliche riguardanti «l'abbellimento, il decoro e l'incremento culturale e civile della città, dando di pari passo più largo impulso alle iniziative di assistenza e di beneficenza, con particolare riguardo al civile Ospedale, agli orfani di guerra e a tutti i derelitti dalla fortuna».

Per la casa da gioco, fu scelto il grande complesso turistico Kursaal, costruito una decina di anni prima e dotato degli spazi e dei servizi necessari per imporsi come una struttura all'avanguardia. Il Kursaal, progettato dall'architetto Bongi di Milano, ricordava il celebre Casinò di Montecarlo. Comprendeva un grande teatro, un teatrino dei piccoli, un chiosco per il tiro al bersaglio, una sala da pattinaggio e da ballo, eleganti negozi, ristorante, caffè, gelateria e tea-room, nonché ufficio postale per gli ospiti dell'albergo.

Allora, Viareggio poteva avere la sua casa da gioco? Niente affatto. Mancava, anche se può sembrare un paradosso, il riconoscimento ufficiale di “centro balneare” con almeno dieci anni di attività! Così due anni dopo, il Commissario Prefettizio cav. Luigi Leonzi chiese al Ministero dell'Interno il riconoscimento di stazione di cura, perché «Viareggio, da un secolo a questa parte, si è venuta affermando fino ad essere considerata, come effettivamente è, la prima stazione balneare d'Italia ed una delle primissime del mondo». Nella deliberazione si legge: «Viareggio è dotata di oltre 120 stabilimenti di cura marina, di un centinaio di alberghi e pensioni. Inoltre, a rendere dilettevole e gradito il soggiorno della colonia forestiera, esistono in Viareggio tre teatri e altrettanti cinematografi, mentre, particolarmente al Kursaal, ma anche in altri stabilimenti balneari e pubblici esercizi, vengono offerti svaghi e trattenimenti di ogni genere, allietati da bene organizzate orchestre».

Comunque, la casa da gioco non fu istituita, anche se il Kursaal ottenne temporanee autorizzazioni per praticare il gioco d'azzardo. Poi cambiarono i tempi e non solo non si parlò più della casa da gioco, ma fu decisa anche la chiusura dell'antico Regio Casino. Infatti, il 15 dicembre 1937, la Questura di Lucca effettuò un'ispezione nelle sale del Casino, in via Regia, per verificare se vi si praticassero giochi proibiti. Due giorni dopo, il Prefetto di Lucca, visto il rapporto della Questura, decretò l'immediata chiusura e lo scioglimento dell'istituzione poiché, come si può leggere nell'ordinanza, «nato come circolo culturale e ricreativo, è divenuto ritrovo di persone dedite ai giochi d'azzardo, con danno all'ordine morale, familiare e sociale e, conseguentemente, all'Ordine Nazionale dello Stato».

Poi, la storia del gioco a Viareggio continuò, per pochi mesi, dopo la seconda guerra mondiale con l'istituzione di un Casinò municipale, i cui proventi furono destinati a contribuire alla ricostruzione della città danneggiata dagli eventi bellici.

©RIPRODUZIONE RISERVATA

Primo piano
Aiuti

Arriva la nuova social card da 460 euro: chi può averla e come può essere spesa