Calcio
Certificazioni, impunità e sfruttamento: perché la legge sulla moda «salva solo i pesci grossi»
La certificazione volontaria delle filiere della moda non convince i sindacati
Prato Il governo lo ha presentato come un disegno di legge per garantire legalità, tracciabilità e correttezza in materia di lavoro nel settore della moda. Il ministro Ministero delle Imprese e del Made in Italy Adolfo D’Urso ha parlato di «reputazione dei nostri brand sotto attacco, in Italia come all’estero». Per il sindacalista Luca Toscano, dei Sudd Cobas di Prato, «è una legge che non cambia niente. È una legge che fotografa come è fatto tutto e lo cristalizza. E crea uno scudo penale per le capofila, i grandi brand».
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Il pacchetto di emendamenti introduce un sistema volontario di certificazione della filiera, con verifiche da parte di revisori legali sulla regolarità contributiva, fiscale e giuslavoristica delle imprese e l’assenza di sanzioni per titolari o amministratori. Inoltre, i contratti di filiera dovranno prevedere clausole che obblighino anche i subfornitori al rispetto delle norme. «Prende un sistema che non funziona, quello delle certificazioni, e lo rende legge. Il committente paga una società privata per controllare la mia filiera. E ovviamente chi è pagato fa l’interesse di chi lo paga. Perché questa cosa funzioni occorre che i grandi brand abbiano interesse perché qualcuno scopra che la filiera non funziona. Il punto invece è usare quelle certificazioni per poter dire che i controlli sono stati fatti e poi, quando vengono a galla delle irregolarità, dire che si era fatto tutto secondo le regole tramite il valore di quelle stesse certificazioni. Si capisce che così non ha una logica», spiega Toscano.
«In sostanza la legge prende una cosa che esiste, cioè le certificazioni, e gli dà un valore legale. Adesso ha un semplice valore di marketing. Tutte le inchieste e vertenze sindacali riguardano tutte aziende certificate. E questo si fa finta di non vederlo. Oggi, se non hai la certificazione non lavori per questi brand. È un sistema che ha già fallito», continua Toscano.
Il rischio per il sindacalista è che «una volta che si ha una filiera in cui tutti sono certificati, il capofila non puoi avere conseguenze penali. È a conti fatti uno scudo». Un meccanismo che definisce “classista”, «perché se in un livello in basso c’è dello sfruttamento ne risponde il pesce più piccolo, ma non quello grande».
Per Toscano quella che manca è «la risposta al problema delle condizioni lavoro. E questo il governo lo ignora». Quello che vorrebbe è una legge «che stringe le responsabilità dei capofila e dei committenti per obbligarli a prendere in considerazione il problema, non il contrario».
Parla a questo proposito di un problema «sistemico. Con il sistema dei sub-appalti si scarica il problema del costo sulla filiera sottostante e si creano le condizioni per lo sfruttamento dei lavoratori. Non è possibile produrre a costi così bassi e poi dire che non si sapeva. Noi proponiamo un modello come quello del Tavolo di Filiera della vertenza L’Alba, che rappresenta un primo caso concreto in cui i marchi della moda si confrontano direttamente con gli operai della propria filiera, storicamente sottoposti a sfruttamento»l
L. R. D.
