La Toscana vota al maschile. E due donne, da fronti opposti, spiegano perché
Dopo un’elezione con solo nove elette su quaranta, Meini (Lega) punta sul merito, Nardini (Pd) sulla necessità di valorizzare le competenze femminili. Ma riconoscono il comune problema
Due donne, due visioni della politica, lo stesso ostacolo. Elena Meini (Lega) e Alessandra Nardini (Pd) sono tra le donne più conosciute e capaci della politica toscana, ma i loro percorsi raccontano in modo diverso lo stesso squilibrio: quello tra la parità dichiarata e la rappresentanza reale.
Una esclusa nonostante oltre tremila preferenze (Meini), l’altra eletta in un consiglio dove le donne sono appena nove su quaranta (Nardini). Da destra e da sinistra, la stessa constatazione: la strada verso una politica davvero equa è ancora lunga. E una grande differenza: per la destra la questione di genere non va regolata attraverso le norme, per la sinistra invece la creazione di correttivi aiuta a compensare le distorsioni. Una linea di demarcazione che ricorda quella tra liberali e socialisti sul mercato.
A destra: la meritocrazia prima delle quote
Elena Meini ha collezionato 3.122 preferenze personali. La più votata della Lega. Eppure non farà parte del prossimo consiglio regionale. Esclusa dalla blindatura nel listino bloccato di Massimiliano Simoni, fedelissimo del generale Vannacci. Che di voti ne ha presi la metà dei suoi.
Chi meglio di lei può parlare del problema della rappresentanza di genere. «L’ho già detto anni fa: le quote rosa sono una forma di discriminazione al contrario. Forse avrebbe più senso valutare se la possibilità di esprimere una sola preferenza possa rappresentare un valore aggiunto per le donne, dato che hanno preso il 40% dei voti totali. È un tema culturale: una donna difficilmente può permettersi di dedicare alla politica lo stesso tempo di un uomo, soprattutto se sceglie di essere anche madre e lavoratrice. Serve invertire la prospettiva: non quote rosa, ma competenze e politiche attive che permettano a tutti di emergere, indipendentemente dal genere. Personalmente, nel partito e nel ruolo di capogruppo, non mi sono mai sentita discriminata. Ho sempre voluto che venissero prima la persona e il pensiero. Nelle liste si nota ancora una presenza minore di donne, ma chi fa politica attiva, a destra o a sinistra, spesso ha una marcia in più: capacità di reagire, gestire più cose insieme e dare un contributo concreto».
A sinistra: la visibilità è potere
Alessandra Nardini è la seconda candidata in assoluto per preferenze ricevute in Toscana, la prima tra le donne. Nella prossima legislatura però sarà un “panda”, con lei sono state elette solo altre sette donne. Un risultato di cui va orgogliosa ma che lascia un po’ di amaro in bocca per chi, come lei, da assessora regionale ha posto le questioni di genere al centro della sua azione politica. «Oltre alla soddisfazione e alla gioia per il risultato elettorale, resta l’amarezza per l’astensionismo: una sconfitta per tutti, su cui tutti dobbiamo riflettere. Come giunta e come partito abbiamo cercato di introdurre correttivi per la bassa rappresentanza femminile, come la legge sulla doppia preferenza e la scelta di una giunta paritaria. Ma, nonostante la legge, esiste un tema di fondo: le donne hanno avuto meno ruoli apicali — poche sindache, presidenti di Provincia, consigliere — e questo si riflette nelle preferenze. Chi ha più visibilità parte avvantaggiato. Anche le donne che hanno ottenuto buoni risultati sono figure già riconosciute. Se i ruoli di vertice restano maschili, è inevitabile pagare questo gap. Dobbiamo promuovere la valorizzazione femminile negli enti locali e nei ruoli dirigenti: le competenze ci sono, e quando le donne assumono un ruolo lo dimostrano».
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