La politica è donna, il seggio è uomo: i numeri (e i voti) in Toscana di un divario che resiste
In Toscana le donne sono la metà degli elettori ma solo il 22% del Consiglio regionale. Tra leggi sulla parità e voti che non si traducono in rappresentanza, il gap di genere resta profondo: le grafiche
La premier italiana Giorgia Meloni una volta ha detto: «La classe politica è lo specchio della società che rappresenta». L’esito delle elezioni regionali in Toscana sono la prova che aveva torto. In una regione dove le donne sono il 51,4% della popolazione residente, sono state elette solo nove consigliere regionali su quaranta. Il 22,5% del totale. Sette in meno di quelle elette nell’ultimo, già sbilanciato, consiglio regionale.
Eppure in Toscana la legge elettorale obbliga le liste a prevedere l’alternanza di genere (un candidato uomo e un candidato donna) e prevede anche la parità di genere nella composizione della giunta (stesso numero di rappresentanti per ogni genere). Dunque il problema è, almeno in parte, altrove. Elettori ed elettrici misogini? Una scorciatoia banale, da scartare, ma il problema esiste e i numeri lo rappresentano con urgente evidenza.
L’obiezione: “Si vota la persona, non il genere”
Sgombriamo il campo da un’obiezione possibile. No, non si vota (solo) sulla base del genere. La scelta della rappresentanza politica sottostà a ragioni più complesse, che interagiscono tra loro. Gli elettori scelgono spesso candidati percepiti come competenti, vicini al territorio o portatori di valori condivisi. Conta il radicamento locale, ma anche la visibilità mediatica e la capacità di comunicare in modo diretto. Il partito d’appartenenza guida molte preferenze, così come il desiderio di rinnovamento spinge alcuni a votare donne o giovani. In fondo, il voto è una miscela di fiducia personale, identità politica e percezione di efficacia. Fatta salva dunque la libertà personale nella cabina elettorale, bisogna guardare con attenzione a cosa succede tra il momento in cui si barra la “x” e l’elezione.
Il divario tra voti e rappresentanza
Le candidate e i candidati che si sono presentati in Toscana hanno ottenuto complessivamente 851.139 preferenze. Di queste, 510.686 preferenze sono andate a candidati maschi e 340.453 a candidate donne. In sostanza il 60% delle preferenze è andato a uomini, il 40% alle donne. E qui si apre la prima, macroscopica, questione. Proviamo a fare reagire i voti espressi con l’effettiva elezione in consiglio. Nonostante questo scarto relativamente contenuto nel consenso, la distribuzione dei seggi è risultata molto più sbilanciata: 31 consiglieri eletti sono uomini (77,5%), mentre solo 9 sono donne (22,5%). In altre parole, pur rappresentando quasi la metà del consenso, le candidate hanno ottenuto poco più di un quinto della rappresentanza. Un divario che solleva interrogativi sulla reale capacità del sistema elettorale di tradurre i voti in una rappresentanza proporzionata tra generi.
Perché si votano più uomini che donne: la teoria del “pregiudizio pragmatico”
Difficile dire perché si scelga un candidato uomo invece di una donna. Uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista Pnas nel 2022 suggerisce che in alcuni contesti, alle candidate donne vengono attribuite aspettative più elevate (dovendo “dimostrare di più” rispetto agli uomini). Questo può far sì che, pur con buoni voti, non riescano a tradurre il consenso in seggi effettivi. Viene definito pregiudizio pragmatic bias: “pregiudizio pragmatico”. Ed è diverso da quello personale, cioè il ritenere che uno specifico gruppo (nel caso le donne) non abbia le caratteristiche necessarie per ricoprire determinate posizioni. Scrivono gli autori: «Nello specifico, in contesti elettorali, gli elettori potrebbero non sostenere le candidate perché percepiscono ostacoli pratici al raggiungimento di posizioni di leadership politica da parte delle donne».
Divario tra voti ricevuti e seggi ottenuti
In Toscana il dato più significativo riguarda il rapporto tra voti ricevuti e seggi ottenuti: per eleggere un consigliere uomo sono stati necessari in media circa 16.474 voti, mentre per ogni consigliera donna eletta ne sono serviti più del doppio, circa 37.828. Questo squilibrio evidenzia una disparità nell’efficacia del voto: a parità di consenso, le candidate donne hanno avuto molte più difficoltà a trasformare i voti in rappresentanza concreta. Anche nei sistemi con voto di preferenza, la posizione in lista e la forza delle reti sociali giocano un ruolo decisivo. Le donne, spesso collocate in posizioni meno visibili e con reti politiche o associative meno strutturate rispetto agli uomini, faticano a trasformare il consenso in preferenze, finendo penalizzate nonostante il numero di voti complessivo.
Il doppio dei capilista uomini: un problema nei partiti?
Qualcosa in questo senso potrebbe suggerire il meccanismo dei capilista, vale a dire i nomi di punta che ogni partito sceglie per guidare il proprio gruppo sul territorio. Alle ultime elezioni regionali in Toscana, il tema della rappresentanza di genere si è mostrato con forza nei numeri, prima ancora che nei dibattiti. Su 138 capilista complessivi, 91 erano uomini e solo 47 donne. Una sproporzione netta già in partenza, che si riflette su tutta la filiera della rappresentanza. Solo due candidate donne, Alessandra Nardini e Brenda Barnini, hanno superato le 10mila preferenze. Contro i sette uomini che hanno varcato quella soglia. Guardando ai dati circoscrizione per circoscrizione, il quadro resta invariato: in gran parte dei territori i capilista uomini superano nettamente le donne, con poche eccezioni come Prato e Siena dove la parità è più vicina. Un equilibrio che pare più il frutto di singole scelte che di una tendenza strutturale.
In fondo forse tocca ricredersi, pare che Meloni non avesse tutti i torti. Una società dove la parità di genere non è raggiunta riflette quello squilibrio anche in un contesto regolamentato, e con dei correttivi, come quello elettorale-rappresentativo. La Toscana ha tanta strada da fare.
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