Igor Protti e la malattia: «Allo stadio con la chemioterapia attaccata». La paura, il grazie speciale e il messaggio del tifoso pisano
Venerdì la sua presenza allo stadio: «Ho pianto al pensiero di non poterci più tornare». E racconta la sua battaglia con il tumore
Igor Protti, come stai?
«Ormai da due mesi convivo coi miei problemi. Operato di stomia per la deviazione dell’intestino e con la chemioterapia in corso. Navigo a vista, giorno dopo giorno. Alcuni sono più facili, altri molto più difficili».
Questi giorni sembrano più lunghi, più brevi, più intensi?
«Sono semplicemente diversi. Esco poco, gran parte della giornata la trascorro in casa. Faccio delle passeggiate ma devo gestire le energie che ho. Da giugno il mio mondo è stravolto».
Più nel fisico o nella mente?
«Guarda, se mi chiedi “qual è il momento più duro?” sai cosa ti dico?».
Cosa?
«Quando guardo le persone a cui voglio bene, la mia famiglia, e vedo nei loro occhi la sofferenza. Ecco, sapere che posso far soffrire queste persone è il mio cruccio maggiore».
Igor Protti è sempre stato un guerriero. Oggi il guerriero ha paura?
«Sì, ho paura e non ho nessun problema ad ammetterlo. La paura è un sentimento naturale, ti aiuta nella sopravvivenza. È vero, magari da fuori mi hanno sempre visto come un guerriero indistruttibile, ma sono un uomo e ho sempre avuto le mie debolezze. Anche quando ero calciatore: perché c’era il timore, la paura di non riuscire a soddisfare le aspettative. Questa però è una paura diversa».
Che paura è?
«Paura di guardare al futuro. Mi sentivo immortale. Ho passato giornate intere pensando al futuro, senza godermi il presente. Poi un giorno ti dicono che sei malato e d’improvviso questo futuro cosa diventa? Niente. Perché non sai se ci sarà e eventualmente non sai per quanto ci sarà».
Poco dopo la diagnosi, tu mi dicesti: «Non vedo l’ora di iniziare a combattere».
«È vero. In quei giorni mi dicevo “ok Igor, hai un problema, ma hai la possibilità di combattere”. E pensavo alle persone vittime di incidenti che non hanno neanche avuto questa possibilità. Poi pian piano sono iniziati gli accertamenti, le cure, l’intervento, e lì è arrivato un po’ di buio».
Igor, in campo non hai mai tolto la gamba. Non puoi certo farlo adesso.
«Questa è una partita infame. Io giocavo partite che iniziavano 0-0 e potevo guardare in faccia il mio avversario. Con lealtà, ma lo guardavo. Qui non lo posso vedere e sono entrato in campo in ritardo, sul 3-0 per lui».
Le rimonte esistono.
«Sì, esistono. Sono qui e ora provo a recuperare questo 3-0».
Il calcio è anche allenamento alla fatica e al dolore. In questo, il tuo passato ti sta aiutando?
«Nel calcio ho sempre avuto una grande sopportazione del dolore. Pensa che una volta a Brindisi, con la maglia del Livorno, restai per mezzora in campo con una doppia frattura scomposta della mandibola, fino quasi a svenire. Questa è un altra cosa: perché al dolore si aggiunge la preoccupazione. Con la frattura, ti operi e riparti. Qui non sai se guarisci, se il dolore è normale oppure è un segnale di allarme».
Ti senti incazzato col mondo?
«No. È pieno di gente che sta male, che soffre. Perché dovrei dire “perché proprio a me?”. Più che rabbia, sento piuttosto il dispiacere di non essere riuscito a capire prima, di non aver raccolto gli allarmi del mio corpo. Negli ultimi tempi avevo perso due grandi amici e ho vissuto una situazione psicologica di difficoltà: ho fatto dei controlli solo per quello, altrimenti non li avrei mai fatti».
Acerbi, difensore dell’Inter, è guarito da un tumore e ha detto testualmente: «Credo che la malattia mi abbia addirittura migliorato, cancellando rimorsi e rimpianti. Sono diventato un osservatore del paesaggio che sta attorno a me. Ho eliminato il superfluo, le persone negative, ma anche le illusioni. Preferisco fissarmi dei traguardi semplici…»
«Condivido parola per parola. Mi sveglio ogni mattina e cerco di godere della giornata che mi troverò di fronte. Me la sono sempre presa tanto, preoccupandomi per gli altri, di tutto. Se esco da questa malattia, forse continuerò a farlo perché è il mio carattere ma di certo non lo farò più per delle stupidaggini».
C’è stato un gesto, una parola o una persona che ti ha sorpreso in questo periodo?
«Guarda, ce ne sarebbero troppe. Non ti faccio neanche un nome perché la lista sarebbe lunga e non mi perdonerei di dimenticare anche solo una delle persone che voglio ringraziare. Posso fare solo un’eccezione?».
Prego.
«A parte naturalmente la mia famiglia di Cecina e quella di Rimini, ringrazio tutto lo staff di Cisanello e del Santa Chiara per quello che stanno facendo. E anche lo staff dell’ospedale di Cecina a partire dalla stomaterapista Raffaella».
Quando hai annunciato la tua malattia, il fiume di affetto e di amore per te è straripato.
«È vero, ti giuro che mai e poi mai avrei immaginato tutto questo. È stata una delle emozioni più belle della mia vita e approfitto di questa intervista per ringraziare tutti, uno a uno, chiunque ha avuto una parola o un pensiero per me».
Quando hai letto i primi messaggi dei tifosi, cosa ti ha colpito di più? Le parole? Il numero? L’amore di chi non conoscevi?
«Il numero. E la varietà delle zone da cui arrivava. Senza saperlo, mi sono reso conto che il Protti uomo è riconosciuto con stima non solo nelle piazze dove ho giocato».
Sui social di Sky, nel post della partita di venerdì scorso, un tifoso del Pisa ha scritto “firmerei per 10 sconfitte nel derby in cambio della notizia che Igor sta meglio”.
(Un lungo silenzio, ndr) «Non l’avevo letto, queste sono cose che mi fanno piangere. Lo ringrazio. Davvero».
Venerdì hai deciso di venire allo stadio per il debutto in C del tuo Livorno con la Ternana.
«Sì, ci tenevo, sono arrivato con la chemioterapia attaccata, ma volevo esserci per ringraziare tutti. I ragazzi che sono venuti con gli striscioni all’ospedale e a casa, i tanti che mi hanno fatto sentire il loro affetto. E sono venuto con la famiglia, che è la mia grande forza. La mia compagna Daniela, i miei figli Nicholas e Noemi, i nipotini Flavio e Gregorio Armando, il compagno di mia figlia Giacomo, mancava la compagna di mio figlio Samantha ma è come se fosse stata lì con me».
E naturalmente Cristiano Lucarelli.
«Il mio compagno di tante battaglie. Doveva essere lui a dare il calcio d’inizio alla partita, ma sai cosa mi ha detto? “Igor, scordatelo, te vieni in mezzo al campo con me sennò la partita non inizia”. Era giusto che la scena fosse per lui, ma Cristiano è un generoso. Gli voglio bene».
Che cosa hai provato entrando in quello stadio con 7000 persone in piedi a gridare il tuo nome?
«Non è descrivibile. Ho i brividi ogni attimo che ci ripenso. Ho pianto, ho pianto tanto. Sono state lacrime di affetto, lacrime di nostalgia ma anche lacrime pensando al futuro. Perché mi sono detto “e se questa fosse l’ultima volta che entro nel mio stadio?”».
Igor non ti azzardare neanche a pensarlo. Ci sono ancora tante partite del nostro Livorno da vivere insieme, con la tua gente.
«Ce la metto tutta ogni giorno. E lotterò, come mi hanno scritto nello striscione i ragazzi della curva. Magari anche come esempio per i tanti che stanno combattendo una battaglia simile alla mia».
Già. Venerdì sei stato un “simbolo” oltre che un uomo.
«Ci ho messo tutta la forza che avevo per venire allo stadio. Ho pensato che la mia presenza poteva essere un messaggio per chi come me sta combattendo contro una malattia. Ci sarà stato qualcuno anche in quei 7000: a loro va il mio abbraccio ancora più stretto».
Dopo tutto questo, pensi di aver capito qualcosa di nuovo sul legame che c'è tra un calciatore e chi lo guarda giocare?
«Sì, assolutamente. Ho sempre vissuto il calcio con passione e con i miei principi, a volte ho avuto dubbi sulla solidità di certi legami. Ma in questo momento difficile, ho capito la verità. Il calcio, se fatto con amore, rispetto e senso di appartenenza, coinvolge una comunità enorme di persone che hanno dei valori forti».
Grazie Igor. Ti vogliamo bene.
«Grazie a te. Non sapevo come affrontare questa intervista, ero abituato ad altri temi. Ti chiedo però di poter lanciare un ultimo messaggio».
Certo.
«Voglio dire a tutti di capire l’importanza della prevenzione. Fate sempre i controlli e non tralasciate nessun segnale del vostro corpo. Perché prendere il male subito o in stato avanzato cambia il percorso della malattia. Mi raccomando. Vi voglio bene anch’io».