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Cinghiali, in Toscana cambia tutto: più poteri agli agricoltori, gli abbattimenti e le principali novità

di Francesca Ferri
Cinghiali, in Toscana cambia tutto: più poteri agli agricoltori, gli abbattimenti e le principali novità

Ecco il nuovo Piano faunistico venatorio regionale: più aree agricole diventano “non vocate” e gli agricoltori potranno intervenire direttamente, anche nei giorni di silenzio venatorio

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Girasoli battono cinghiali uno a zero. Il 29 luglio la Regione Toscana ha adottato un nuovo Piano faunistico venatorio, l’insieme delle regole su dove, come e quando si può cacciare, e chi può farlo.

Il Piano porta con sé importanti novità. Una, fra tutte, riguarda la caccia al cinghiale e il tema, annoso, dei danni che questa specie infligge all’agricoltura.

La novità per gli agricoltori

La novità principale è che sono state aumentate le superfici di interesse agricolo, cioè campi, seminativi, vigneti, prato-pascolo, all’interno delle cosiddette “aree non vocate” all’attività venatoria, sempre per la specie del cinghiale, e alcune superfici abbandonate sono state fatte rientrare nelle “aree vocate” (aree incolte, caratterizzate da arbusti, eccetera). Il risultato è che nel Piano adottato le aree coltivate non possono essere considerate “aree a vocazione venatoria”.

Le aree non vocate sono quelle in cui la tipologia di gestione rispetto alla fauna selvatica è “non conservativa”. Significa che gli animali selvatici che tendono a frequentarla, in questo caso i cinghiali, possono essere eradicati, cioè eliminati, a tutela delle colture agricole.

La possibilità di abbattere

Tra chi può intervenire direttamente per abbatterli – si parla sempre di aree non vocate – c’è anche lo stesso agricoltore, purché possieda i requisiti necessari (licenza di caccia e abilitazione ex articolo 37). In questo caso può eliminare i cinghiali sia in caccia di selezione, sia con il cosiddetto “intervento di controllo”, che è cosa diversa dalla caccia e che, rispetto alla selezione, può svolgersi anche nei giorni di silenzio venatorio (cioè quando la caccia è sospesa, vale a dire il martedì e il venerdì) e in orari più estesi (oltre la mezzanotte).

Nelle aree vocate, che sono quelle dove normalmente è autorizzata la caccia (quella al cinghiale va dal 1° ottobre al 31 di gennaio), l’eliminazione totale non è prevista. È previsto, invece, che venga mantenuta una certa densità di esemplari, in linea con l’ambiente che li ospita.

Il Piano è stato solo adottato. Ora sarà pubblicato (intorno a metà agosto), poi passeranno due mesi nei quali chiunque potrà avanzare osservazioni. Quindi le osservazioni andranno valutate e poi dovrà essere approvato dalla giunta regionale. Insomma passerà qualche mese. Quindi, per il momento resta in vigore il vecchio Piano, che risale al 2012 e che è ancora in piedi a suon di deroghe su deroghe.

Nel frattempo, però, già così in bozza le conseguenze del testo si prospettano non da poco.

Finora ancora troppi agricoltori hanno dovuto “convivere” con un tot di cinghiali intorno al podere, che rotolavano il campo appena seminato o scaricavano la vigna. Con il nuovo Piano faunistico venatorio, allargandosi la superficie non vocata, molti più agricoltori potranno intervenire direttamente.

L'agricoltura al centro

Una rivoluzione nell’approccio e nell’impostazione delle regole, che mette al centro l’interesse dell’agricoltura, senza tuttavia danneggiare il mondo venatorio, visto che le zone sottratte alla “vocazione” vengono compensate da zone nuove nei boschi. E che proprio dal mondo agricolo, in particolare da Coldiretti Toscana, ha avuto il proprio input.

L’associazione, che conta in Toscana 25mila aziende socie, da anni lavora per chiedere di mitigare i danni provocati all’agricoltura dagli animali selvatici, in primis cinghiali e ungulati in generale, quindi anche cervi, daini, caprioli e mufloni.

Del resto in Italia, a differenza che in alcuni altri Paesi europei, i cacciatori possono entrare liberamente nei terreni privati delle aziende agricole per cacciare, non solo cinghiali, ma più spesso fagiani, colombi, tordi, lepri e quant’altro.

«Nel nostro Paese si può cacciare in tutto il cosiddetto “territorio libero”», spiega Alessandro Landini, esperto venatorio di Coldiretti Toscana. «Il territorio libero – spiega nel dettaglio – è tutto quello che non comprende, tra le altre, le aree protette, le aree di ripopolamento e cattura, gli istituti faunistici privati, le aree sottratte alla caccia temporaneamente per le colture in atto eccetera. Ci sono delle limitazioni, sì. Ad esempio, se uno ha un campo dove lascia i bovini a pascolare per un periodo, per quel periodo può chiedere di “cartellare”, cioè di apporre il divieto di caccia. Ma si tratta di eccezioni».

Il Piano appena adottato poggia su quattro capisaldi. «La gestione della fauna selvatica per territorio – spiega ancora Landini –, l’equilibrio della biodiversità, la formazione sulla sicurezza, anche di carattere alimentare, per chi va a caccia. Ultimo caposaldo, la revisione delle aree per le specie ungulate, dividendo il territorio regionale e rivedendo, come detto, le aree vocate e quelle non vocate». Chi sperava che il nuovo Piano consentisse agli agricoltori di sparare a vista ai cinghiali arrivati a far scorpacciate di girasoli e granoturco resterà deluso. Fortunatamente non siamo nel Far West.

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