La mamma di Vanessa, strangolata a 20 anni: «Ergastolo a chi uccide una donna»
Maria Grazia ha perso la figlia nel 2009
LUCCA. «Se mi chiede se c’è speranza che i femminicidi possano diminuire le rispondo che ad ora non c’è. Qualcosa può cambiare nei prossimi anni, quando quello che viene seminato in questi tempi, con incontri e campagne di sensibilizzazione, potrà dare i suoi frutti». Maria Grazia Forli conosce l’abisso della disperazione per un genitore, quello di perdere una figlia. Aveva 20 anni Vanessa Simonini quando la sera del 7 dicembre del 2009 a Gallicano Simone Baroncini la uccise strangolandola per la reazione della giovane alle sue avances non richieste. Per lei era solo un amico. Lui si era illuso che ci fosse qualcosa di più. Il rifiuto come effetto scatenante della follia omicida. Condannato a 16 anni, libero dal 2022, di recente Baroncini, 50 anni, pisano, è stato arrestato per aver colpito con una siringa alcune ragazze in centro a Pisa .
«Per quelli come lui serve solo l’ergastolo, basta sconti di pena» aveva denunciato la signora Forli. La sorte le ha riservato il ruolo di “testimonial” e vittima secondaria di tragedie come quella di Afragola.
Se i tempi non sono ancora maturi per sperare di arginare il fenomeno dei femminicidi, cosa si può fare nel frattempo per limitare questi delitti?
«Dico sempre che nella vita si incontrano persone buone e cattive. Purtroppo, a volte i cattivi sembrano buoni e ci fidiamo, ma non dobbiamo dimenticare che esistono questi cattivi. Quando uno arriva a fare una cosa del genere vuole dire che ha una cattiveria innata. Non contano solo le circostanze del momento. Ad ora non vedo come fermarli».
È scoraggiata?
«Donne uccise quasi tutti i giorni e spesso anche molto giovani. Diversi anni fa, prima di Vanessa e parlo del 2009, se ne parlava poco. Non c’erano i centri antiviolenza, né le sensibilità di oggi. La paura di fare brutti incontri c’è sempre stata, ma non come ora».
Si può dire che una persona, anche la più vicina, alla fine non si conosce mai fino in fondo?
«Certo. Mi ero fidata al cento per cento di quell’essere (Baroncini, ndr) come lo chiamo io. Non conosco i dettagli dei rapporti tra la 14enne di Afragola e il suo assassino. Posso dire, e mi si passi il paradosso, che se in una relazione l’uomo è un violento almeno c’è un segnale che può portare la donna ad allontanarsi. Ma senza sintomi non vedo come si possa capire che chi hai accanto può arrivare a ucciderti. L’ho sperimentato direttamente. Vanessa non aveva avuto segnali».
La mamma della ragazzina dice di aver trattato come un figlio chi ha ucciso sua figlia.
«Queste persone hanno una maschera che usano per essere accettate. Poi al primo rifiuto la maschera cade e vengono fuori con la loro faccia, l’anima nera che hanno dentro. Sono i peggiori. Narcisisti che pretendono il possesso della donna: mia o di nessuno».
Signora, come si sopravvive al dolore per la perdita di un figlio?
«Sono sopravvissuta proprio perché voglio che Vanessa viva. Andare avanti nel ricordo della bimba. Vado nelle scuole, inauguro le panchine rosa. In questo modo è come se lei continuasse a vivere. Se non ne parlassi mai allora sì che sarebbe davvero morta. E, invece, attraverso i miei gesti, azioni e parole lei continua a esserci. Tanti ragazzi che non la conoscevano o che ancora non erano nati ora sanno la sua storia. E questo mi dà forza».
Cosa si sente di dire alla mamma di Martina Carbonaro?
«Sappia che sarà durissima. A distanza di tanti anni non sto bene neanche ora. Alla madre della ragazza dico di sfogarsi e di far vivere sua figlia in tante piccole e grandi cose».
Lei come è riuscita ad andare avanti?
«Raccontando la sua storia. E poi le scrivo tutte le sere, ho 16 diari. È come se lei potesse leggere le novità che ci accadono in famiglia, cosa è successo nella giornata. Questo mi aiuta. Le reazioni non sono tutti uguali. Dipende da persona a persona. Dopo il fatto per mesi stavo in poltrona, coccolata da tutti, ma senza la forza di alzarmi. Poi ho viste le altre figlie e mio marito che stavano male e allora è scattato qualcosa. Ho reagito non per me, ma per gli altri. E soprattutto per Vanessa. Lei c’è, vive»l