Il Tirreno

Toscana

L’indagine

Assalto ai portavalori, tutti gli errori del commando: il più grande riguarda un medico

di Stefano Taglione

	Due momenti dell'assalto sull'Aurelia a San Vincenzo
Due momenti dell'assalto sull'Aurelia a San Vincenzo

È ciò che emerge dall’inchiesta che ha portato all’arresto delle 11 persone. Grazie al gps di un’auto rubata, in meno di 12 ore, trovato il presunto basista

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SAN VINCENZO. Il più grande errore commesso, grazie al quale i carabinieri li hanno poi scoperti e arrestati, è stato rubare l’auto di un medico di Orbetello in fila sulla Variante Aurelia. Gli hanno puntato contro un kalashnikov, costringendolo a scendere e a sdraiarsi sull’asfalto. Poi sono scappati con la sua Volkswagen Tiguan.

Uno sbaglio imperdonabile – dopo aver pianificato tutto nei minimi dettagli, furti di autocarri da incendiare e alibi inclusi – dato che su quella macchina c’era il ricevitore gps di serie che ha consentito ai militari del nucleo investigativo di Livorno, comandati dal maggiore Guido Cioli, di imboccare, grazie al loro intuito, subito la via maestra per la buona riuscita di un’operazione che comunque è stata tutt’altro che semplice.

Le accuse

È ciò che emerge dall’inchiesta che, lunedì scorso, ha portato all’arresto delle 11 persone accusate, il 28 marzo, di aver assaltato i due portavalori lungo la Variante a San Vincenzo carichi dei soldi delle pensioni diretti negli uffici postali della Maremma. A bordo di uno dei due Fiat Ducato della Battistolli, partiti dal deposito di San Pietro in Palazzi, c’erano 4.683.785 euro, mentre la cifra portata via, non ancora ritrovata e che si ipotizza possa essere nascosta in Toscana, ammonta per l’esattezza a 3.082.754 euro. Sono il presunto basista di Castelnuovo Val di Cecina, originario di Volterra, Antonio Moni (54 anni), i quarantacinquenni di Bari Sardo (Nuoro) e Jerzu (stessa provincia) Franco Piras e Francesco Palmas, il cinquantenne Salvatore Campus (di Olzai, sempre nel Nuorese), il trentatreenne Nicola Fois (di Girasole, Nuoro), il trentacinquenne Marco Sulis (originario di Galatina, in provincia di Lecce, ma residente a Villagrande Strisaili, Nuoro), il trentottenne Renzo Cherchi (di Irgoli, stessa provincia), il quarantasettenne Francesco Rocca (di Orotelli, Nuoro), i trentanovenni Alberto Mura e Giovanni Columbu, dei comuni nuoresi di Ottona e Ollolai e il quarantacinquenne di Bottidda, sempre nel Nuorese, Salvatore Antonio Giovanni Tilocca.

Tutti sono in carcere per la rapina pluriaggravata ai blindati del colosso di Vicenza, anche se Moni, Campus e Fois – pur avendo, secondo la procura, collaborato all’assalto con le armi da guerra – non hanno partecipato in prima persona, motivo per il quale – al contrario degli altri – non sono indagati per la ricettazione delle auto. Per il furto dei furgoni poi dati alle fiamme per fermare i Fiat Ducato in fila lungo il restringimento di carreggiata del Castelluccio, invece, sono sotto accusa Campus, Piras, Sulis, Tilocca e una quinta persona, il quarantaseienne di Arzana (Nuoro) Antonio Stochino, libero in quanto per lui non è stata accolta dal giudice per le indagini preliminari Antonio Del Forno la richiesta di misura cautelare emessa dalla pubblico ministero Ezia Mancusi, la titolare dell’inchiesta.

Il controllo

L’errore del furto dell’auto, in realtà una rapina dato che viene portata via sotto la minaccia di un fucile, ha effetti immediati. Letteralmente nefasti per il commando, che fino a quel momento aveva pianificato tutto alla perfezione. «La localizzazione del segnale gps della Tiguan – si legge infatti negli atti – ha consentito di indirizzare gli accertamenti nel comune di Castelnuovo Val di Cecina, zona in cui nelle prime ore del mattino del giorno successivo all’assalto è stato effettuato un controllo, precisamente nel podere di Moni, uomo di origine sarda conosciuto dalla stazione dei carabinieri». Insieme al pastore, che sta dormendo fuori in auto, dentro il capannone all’interno della sua proprietà stanno riposando – «dormendo vestiti e con qualche coperta indosso», si legge negli atti – Piras e Palmas. I due, ai militari dell’Arma, giustificano la loro presenza dicendo di essere amici di Moni e spiegando che di lì a poco sarebbero dovuti partire per Bastia Umbria, in provincia di Perugia, per acquistare un macchinario agricolo (come effettivamente faranno, visto che al loro ritorno in Sardegna, in nave da Genova a Porto Torres, trasporteranno il voltafieno a bordo del loro mezzo pesante imbarcato sulla Moby Aki).

Un alibi che, però, secondo l’accusa si sarebbero costruiti. Ma durante il controllo emerge il “pizzino” con i numeri di telefono, il terzo errore se vogliamo catalogarlo dato che il secondo, con tutti quei telefonini puntati, è stato quello di urlarsi frasi in accento sardo che hanno fatto sì che gli investigatori concentrassero i loro primi sforzi proprio sulla “pista sarda”. Da lì, analizzando ulteriori elementi come i viaggi via nave prima della rapina, gli investigatori chiuderanno il cerchio, identificando anche gli altri componenti della presunta banda che ha terrorizzato la Variante portando via oltre tre milioni di euro di pensioni che ancora non sono stati trovati. 

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