Pisa, l’infettivologo Marco Falcone: «La medicina è la mia vita, il vino la mia grande passione»
Una brillante carriera accademica: «Un orgoglio essere stato il più giovane ordinario nella mia disciplina»
PISA. «Lasciare a diciotto anni una città molto diversa dalla grande metropoli mi è costato qualche sacrificio dal punto di vista psicologico, e soprattutto ha deluso un po' la mia mamma, che da donna del Sud avrebbe voluto che il figlio restasse in Calabria. Ma era tanta la voglia di fare esperienze concrete in ciò che ormai consideravo il mio futuro, la medicina, che ogni ostacolo si trasformava in stimolo per la mia crescita». A raccontare la sua storia è il professor Marco Falcone – direttore della scuola di specializzazione in malattie infettive dell’università di Pisa – il cui percorso accademico è stato molto rapido, con una laurea conseguita in cinque anni e 21 sessioni a 24 anni, e a 29, una specializzazione in medicina interna presso la Scuola di Roma “Sapienza”, diretta dal professor Pietro Serra. «Un grande medico da poco tempo scomparso – dice Falcone – che considero il mio primo, vero maestro».
Un primo maestro importante al quale ne sono seguiti altri.
«Sì. Ritengo di essere stato molto fortunato. Ho potuto già da studente iniziare una intensa e proficua attività di ricerca con il professor Mario Venditti, specialista in malattie infettive, che ha dato vita alla pubblicazione di importanti lavori scientifici, portandomi ad avere molti riconoscimenti come giovane ricercatore».
Il suo cammino è stato davvero veloce. Subito dopo la specializzazione ha iniziato a lavorare nell'Università "Sapienza", prima come assegnista di ricerca, poi come ricercatore a tempo definito di tipo A. E, nel 2018, a 40 anni, ha partecipato a un concorso di professore associato all'università di Pisa, che l’ha introdotta nella squadra del professor Francesco Menichetti, direttore delle malattie infettive nell’azienda ospedaliera dell’università pisana.
«Un incontro magico, che ha sancito un'altra porta scorrevole della mia carriera».
Un grande medico. Però, a detta di tutti, con un caratteraccio.
«Un carattere decisamente difficile, a cui però sopperiva con la grande intelligenza e una visione moderna del ruolo accademico, finalizzato alla qualità e non al mero rendiconto personale. Con lui ho passato cinque anni indimenticabili, coincisi con l'epidemia Covid-19, in cui abbiamo lavorato davvero spalla a spalla, riuscendo a portare Pisa ad essere uno dei centri italiani all'avanguardia nella terapia di questa patologia, nonché uno dei principali centri di ricerca sulle infezioni da microrganismi resistenti agli antibiotici in Europa e nel mondo... Menichetti, al di là della sua apparente durezza, è buono e generoso e nel tempo fra noi si è creato un rapporto quasi filiale. Dopo il suo pensionamento ci vediamo spesso per motivi scientifici e per me resta sempre la persona a cui chiedere un consiglio per una situazione importante».
L’Università di Pisa, dopo l’uscita di Menichetti, ha bandito un concorso esterno per professore ordinario di malattie infettive, che ha visto la partecipazione di vari candidati. E sia la Commissione che il Dipartimento hanno identificato lei quale vincitore della procedura, consacrandola, nel 2022, nel più giovane professore ordinario di malattie infettive in Italia.
«Un grande orgoglio, lo devo ammettere. E ancora oggi rimango il più giovane accademico della mia disciplina».
Sentendo il suo percorso si direbbe che lei non sia mai stato bambino. Ma da piccolo aveva dei sogni?
«Non ne ricordo di particolari. Forse volevo fare l’astronauta, perché il fascino dello spazio a quei tempi coinvolgeva tanti bambini. Poi però ci furono i primi trapianti, mi affascinava il professor Barnard e incominciai a intravvedere nel ruolo del medico una grande aspirazione».
Lei è figlio unico?
«Ho una sorella minore di due anni. Fa l’avvocato ed è rimasta in Calabria. Fra noi c’è un rapporto forte, anche se ci vediamo ahimè troppo poco».
Oltre al grande impegno lavorativo, la sua vita ha degli spazi di svago?
«Nonostante tutti gli impegni riesco a ricavarmi del tempo libero per coltivare le mie passioni. Seguo lo sport, anche se lo pratico poco e, negli anni, insieme a persone della mia famiglia d’origine, appassionate di vino come me, ho creato una piccola realtà vitivinicola nel Lazio. L’abbiamo battezzata “Falcone Natural Wine”. Rappresenta il mio momento di evasione e relax psichico e quando riesco ad andarci mi diverto molto. Amo il contatto con la natura e con i cicli delle coltivazioni; adoro la vendemmia e sono affascinato dalla perfezione dei fenomeni biologici naturali».
Ma il vino lo beve anche o segue solo il suo percorso da grappolo in poi?
«Lo bevo, certo. Però sono un bevitore moderato».
È padre di un ragazzo di undici anni. Che rapporto c’è fra di voi?
«Mio figlio rappresenta un vero pezzo di cuore e cerco di seguirlo al meglio, nonostante gli impegni di lavoro mi portino spesso lontano da lui. È un ragazzo maturo e ragionevole, sa che nei momenti importanti ci sono e che può contare sempre su di me. Ci sentiamo molte volte al giorno e il nostro è un bellissimo rapporto. Lui ama la matematica e la scienza e non credo si appassionerà mai a medicina. Però, se in futuro cambiasse idea, cercherò di dargli i consigli giusti».
Oggi quali sono i suoi obiettivi nel lavoro?
«Quelli di far crescere un gruppo di infettivologi giovani, motivati e di grande qualità a Pisa. Specialisti che possano fare la differenza a livello nazionale e internazionale. Credo fermamente che le malattie infettive in Università di Pisa e Azienda ospedaliera rappresentino oggi una eccellenza nell'ambito accademico/assistenziale italiano e ciò non potrà che avere ulteriori sviluppi anche alla luce degli investimenti nel Nuovo Ospedale».
Negli ultimi anni c’è stata anche nel nostro Paese una crescita di malattie infettive, alcune nuove, perciò più difficili da identificare e curare. A cosa pensa sia dovuto tutto questo?
«Le infezioni globalmente aumentano, sia quelle in ospedale che quelle nuove, trasmesse da vettori, che arrivano dai Paesi tropicali. Nel 2050 le malattie infettive saranno la principale causa di morte nel mondo. Riusciremo, infatti, a curare tante patologie, inclusi i tumori, ma avremo sempre a che fare con microrganismi patogeni per l’uomo».
Se pensa a quello che ha fatto e che ancora farà, come vede da medico e da uomo il suo futuro?
«Non mi pongo limiti e non mi sento arrivato. Credo che nella mia professione ci siano tante altre pagine da scrivere. Come uomo chissà… forse quando andrò in pensione (ma sono ancora giovane) mi dedicherò a tempo pieno al vino e alla natura».
Il profilo
Nato a Cosenza nel 1978, Marco Falcone proviene da una famiglia di ceto medio (il padre impiegato delle poste, la madre insegnante di sostegno alle scuole medie/elementari): non ha nessun familiare che abbia ricoperto ruoli o incarichi in ambito sanitario. Insomma, in famiglia nessuno che lo abbia introdotto all’interno di quello che sarebbe poi stato il suo mondo. Dopo l’esame di maturità – il diploma ottenuto a Cosenza presso la scuola "Bernardino Telesio”, liceo classico di grande tradizione – Marco Falcone ha la fortuna di conoscere alcuni professori che riescono a stimolare in lui la voglia di imparare e di approfondire le conoscenze. Per fare questo si trasferisce nella capitale presso l'Università “La Sapienza” a studiare Medicina. Attualmente Marco Falcone è professore ordinario di malattie infettive, direttore della unità operativa di malattie infettive dell’Azienda ospedaliera universitaria pisana, direttore della Scuola di specializzazione in malattie infettive dell’Università degli studi di Pisa, membro del consiglio direttivo della “Società italiana di malattie infettive e tropicali”. Il professore è altresì membro del comitato esecutivo della International Society for Antimicrobial Chemotherapy.
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