Il Tirreno

Toscana

La pellicola

Quel film sulla vita del mito Bob Dylan è un vero capolavoro

di Althea Lia Mathews *
Un pezzo del film
Un pezzo del film

Chalamet convincente nei panni del cantautore, Monica Barbaro perfetta nel ruolo di Joan Baez

3 MINUTI DI LETTURA





È il 1961 quando un giovane, con la chitarra sottobraccio e un sogno nel cuore, arriva nella città di New York, simbolo del fermento creativo e culturale degli anni ’60, in cui molti artisti giungono alla ricerca della propria fortuna. Ebbene, quel giovane del Midwest dal cappotto trasandato e dai capelli in disordine ancora non lo sapeva, ma avrebbe cambiato per sempre la storia della musica sotto allo pseudonimo di Bob Dylan, «colui che ha portato la poesia nella musica folk».

In omaggio a questo grande musicista, dopo 5 anni di duro lavoro per l’attore protagonista, Timothée Chalamet, il quale ha dovuto imparare da zero a cantare imitando alla perfezione l’accento di Dylan e a suonare la chitarra, è finalmente uscito il biopic “A Complete Unknown” (2024), diretto da James Mangold, che ne ripercorre l’ascesa al successo, ponendo l’accento non solo sulla straordinaria potenza creativa ed espressiva di questo cantautore ma anche sulla sua personalità complessa, radicalmente anticonformista e ferocemente indipendente, al punto da risultare scostante o addirittura arrogante, alle volte.

In effetti Chalamet, giovane talento delle nuove generazioni, è un Dylan molto credibile, al contempo fragile e determinato, spesso riflessivo e chiuso nella sua interiorità, ma capace di ricreare i classici con una voce dotata di un timbro personale che arricchisce l’interpretazione di un personaggio profondamente innovatore e creativo come lo era Dylan, che piuttosto che far sottostare la sua produzione musicale, o la sua stessa persona, a qualsiasi logica commerciale avrebbe preferito l’impopolarità. Una vera “pietra rotolante”, insomma.

La musica, del resto, è l’assoluta ed indiscussa protagonista di questo film, presente in ogni situazione e nelle più varie sfaccettature: musica come messaggio politico, come atto di ribellione, espressione creativa, o semplicemente gioia di creare. E questo lo si vede nei piccoli gesti di Dylan, nel modo in cui si porta una chitarra ovunque egli sia, che la suoni anche sovrappensiero, come se lo strumento fosse una parte del suo corpo ed egli non ne potesse fare a meno. Sono proprio questi particolari, seppur minimi, a distinguere tra loro i grandi attori e i grandi ruoli, e riconfermano ancora una volta l’immenso studio del personaggio condotto dall’attore, che va al di là del saper suonare o meno le canzoni ma si addentra nella psicologia, nelle abitudini e nei gesti più intimi e personali. Lo stesso Bob Dylan, in effetti, ha lodato il lavoro del giovane talento, scrivendo: «Timmy è un attore brillante, quindi sono sicuro che sarà completamente credibile nell’interpretare me. O un me più giovane. O qualche altro me». A questo proposito non si può non menzionare Monica Barbaro nei panni di Joan Baez, un’altra performance veramente spettacolare che non ha nulla da invidiare a Chalamet, e che nella sua purezza ricorda il timbro limpido della voce di Joan.

Con semplicità e naturalezza l’attrice è stata in grado di portare sulla scena l’altra faccia, più personale, della relazione di Joan Baez e Bob Dylan, enigmatica quanto complessa, spesso segnata da diverbi e separazioni ma sicuramente indimenticabile, almeno come la loro musica, che ha segnato il confine tra un musicista e un artista e la voce di una generazione che ha lottato per i propri diritti e la propria umanità.

*Studentessa di 17 anni del liceo XXV Aprile di Pontedera
 

Primo piano
Il caso

Il dermatologo scambiò un tumore maligno per una verruca e chiede di dimezzare il risarcimento: "Grave colpa medica"

di Pietro Barghigiani
Sani e Belli