Il Tirreno

Toscana

I nomi e le storie di un dramma sociale

Altro che Primo Maggio, in Toscana non c’è da festeggiare: di lavoro si muore e le vittime diventano solo freddi numeri

di Martina Trivigno
Altro che Primo Maggio, in Toscana non c’è da festeggiare: di lavoro si muore e le vittime diventano solo freddi numeri

Per l’Inail nel 2023 le morti bianche in regione sono state 33, ma si scopre che non c’è un elenco dei nomi e che gli enti preposti non dialogano

30 aprile 2024
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Mohamed El Farhane, Taoufik Haidar, Alessandro D’Andrea, Alessio Pellegrini, Claudio Rosi, Fabrizio Margheri, Francesco Mannozzi, Luca Giannecchini, Luigi Coclite, Ugo Antonio Orsi, Muhammad Zahid Qureshi, Alberto Fontanelli, Roland Cizmja, Mohamed Toukabri, Manuel Cavanna. Quindici nomi. Sono figli, mariti, padri, fratelli. Tutti sono usciti da casa la mattina per andare a lavorare, ma nessuno è più tornato: sono morti a causa di quel lavoro che doveva garantire un sostentamento a loro e alle loro famiglie.

L’elenco della vergogna

Questi lavoratori sono il simbolo del Primo Maggio in Toscana, ma non sono tutti gli uomini che hanno perso la vita nell’ultimo anno. Per l’Inail, infatti, nel 2023 sono stati almeno il doppio: 33 per la precisione. Il Tirreno avrebbe voluto pubblicarli tutti, nessuno escluso, ma non è stato possibile: nel 2024, infatti, non esiste ancora un database ufficiale che contenga i nomi di chi ha perso la vita mentre era in servizio e stava facendo il suo dovere. Ci sono soltanto i freddi numeri e le gelide statistiche divulgati dall’Inail, l’Istituto nazionale assicurazione infortuni sul lavoro (spesso con mesi di ritardo rispetto ai fatti), ma nulla di più. E neppure i conti tornano perché le Asl, ad esempio, nei loro report non prendono in considerazione gli infortuni mortali in itinere (cioè avvenuti mentre il dipendente stava raggiungendo il luogo di lavoro). È così che l’Anmil, l’Associazione nazionale fra mutilati e invalidi sul lavoro, ha pensato di creare una sezione intitolata “Caduti e gravi incidenti sul lavoro” per dare un nome a quei numeri. Un portale non ufficiale, però, che l’associazione ricostruisce caso per caso attraverso le notizie pubblicate sui giornali. Data, città, nome, età, episodio e causa: sono questi i dati che l’Anmil riporta nel suo database, consultabile sul suo sito ufficiale. «La nostra associazione non intende sostituirsi all’unica fonte ufficiale statistica che è l’Inail, ma vuole restituire a tutti i caduti sul lavoro almeno quella dignità di memoria spesso persa nelle pieghe di un elenco di numeri – spiega Alessandro Grassini, presidente di Anmil per la Toscana – Questo lavoro di raccolta e archivio è realizzato con la collaborazione di Marco Bazzoni, operaio metalmeccanico e rappresentante dei lavoratori per la sicurezza di Firenze».

Lavoro e lacrime

Mentre parla, Grassini scorre le immagini di chi a casa non c’è più tornato. Come Luca Giannecchini, 51 anni, trovato senza vita il 21 marzo, sepolto dalla terra di uno scavo per la posa in opera di tubi per fognature nella frazione di Sant’Alessio, a Lucca. «Amore, ci vediamo stasera. Fai ammodino», aveva detto alla moglie, prima di chiudersi la porta alle spalle. O come Luigi Coclite, arrivato a Vicarello dalla provincia di Teramo nel 1990 e morto a 59 anni con altri quattro operai nella strage del cantiere Esselunga, in via Mariti a Firenze. Il tecnico Alessandro D’Andrea, invece, aveva 36 anni ed era originario di Forcoli: stava scappando dall’inferno, dal nono piano sommerso della centrale Enel Green Power di Suviana, ma non ce l’ha fatta. Tante storie di vita tutte diverse, eppure con lo stesso triste epilogo: la morte. «Nei primi quattro mesi del 2024, sono 14 gli infortuni mortali soltanto in Toscana, senza contare le malattie professionali, morti molto più lente, spesso non riconosciute. Dati sottostimati, però – precisa Grassini – Non dobbiamo dimenticare, infatti, che i numeri sono ufficiali perché forniti dall’Inail: tra questi non è quindi compreso il lavoro nero. Noi ci chiediamo: cosa fare per fermare questa piaga? Come Anmil, portiamo avanti la scuola della testimonianza grazie a quei lavoratori che hanno subito un infortunio sul lavoro e sono sopravissuti, ma qualcuno non è stato così fortunato. Allora restano gli eredi delle vittime che portano avanti la loro testimonianza e raccontano cosa significa crescere senza un genitore».

L’appello

Da qui, un appello alle istituzioni. «Noi ci chiediamo: cosa fanno? Ecco, potrebbero fare molto di più – conclude il presidente toscano di Anmil – Ci sono ultrasessantenni ancora al lavoro, senza una pensione. E poi c’è il dramma degli appalti: basta guardare alla sola logica del profitto. Dobbiamo far capire ai datori di lavori che con la sicurezza e la prevenzione si crea lo stesso profitto e si salvano vite umane. Dovrebbe essere questo il senso del Primo Maggio. Altrimenti non c’è proprio nulla da festeggiare».

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