Il Tirreno

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E poi all'improvviso
L’intervista

La tv secondo Annalisa Bruchi: «Gli esordi tra paure e curiosità, ma con maestri come Minoli e Costanzo è stato bello»

di Clarissa Domenicucci
Annalisa Bruchi insieme al suo maestro e mentore Giovanni Minoli
Annalisa Bruchi insieme al suo maestro e mentore Giovanni Minoli

La giornalista senese si racconta: «Intervistai Giovanni da studentessa, lui mi aprì le porte incantate di Mixer. Maurizio? Un gigante, imparai tanto. Devo tanto a Luisella Testa e Silvia Tortora»

28 novembre 2023
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Incontriamo Annalisa Bruchi negli studi Rai di Saxa Rubra a Roma. Sono le dieci e trenta, è appena terminata la diretta di Re Start, il programma che conduce tutte le mattine su Rai3. Approfittiamo di una pausa prima che inizi la riunione di redazione per preparare la puntata. Sorridente, circondata da una squadra autoriale tutta al femminile, guarda dritto negli occhi Annalisa. Mi offre cantucci e ricciarelli: «deve perdonarmi ma la mattina mi sveglio all’alba e dopo la lettura dei giornali, il trucco e la diretta, se non mangio qualcosa svengo».

Siamo qui per parlare dell’incontro che più degli altri le ha cambiato la vita.

«Ne ho avuti di incontri fortunati, ma se faccio un bilancio chi mi ha fatto del bene cambiandomi la vita per sempre è stato senza dubbio Giovanni Minoli».

Un incontro rincorso o arrivato per caso?

«Dividerei l’incontro in due fasi, la prima cercata e la seconda assolutamente fortuita. Nel 1996 ero a Londra, preparavo la tesi del Master alla London School of Economics sulle elezioni politiche del 1994: l’influenza dei media e il caso Berlusconi. Contattai diversi giornalisti e poi arrivai a Minoli, gli proposi un’intervista. All’epoca direttore di RaiTre, per me un mito: ero incantata dal suo modo “nuovo” di fare tv e dai suoi faccia a faccia, li guardavo e sognavo di fare la giornalista. Lui accettò, volai a Roma e per la prima volta entrai a viale Mazzini indugiando a pochi metri dal cavallo alato; mi sentivo in un sogno. Minoli fu gentile e disponibile, al termine della chiacchierata mi disse “in bocca al lupo, poi mi faccia avere l’intervista”, e ci perdemmo di vista».

Fino a quando?

«Fino a quando lo rincontrai per puro caso, in riva al mare a Punta Ala. Ero lì a casa dei miei genitori per finire di scrivere la tesi e una sera al tramonto andai a fare una passeggiata in spiaggia. Lo riconobbi, mi feci coraggio e lo fermai. Fu ancora una volta accogliente e mi congedò dicendomi: “Mi venga a trovare quando avrà dato la tesi. Non si sa mai, servono sempre forze nuove”».

Che impressione le fece, cosa la colpì maggiormente di lui?

«L’interesse sincero che dimostrava verso l’essere umano. La curiosità che lo muoveva nelle grandi interviste, al cospetto di politici o amministratori delegati, era la stessa che notavo mentre dialogava affabile col venditore di cocco in spiaggia».

Discusse la tesi e lo contattò di nuovo?

«Certo! Non avevo le idee troppo chiare sul mio futuro, se in Italia o in Inghilterra, ma il sogno era di diventare una giornalista e lo chiamai. Tornai a trovarlo in Rai e mi offrì un lavoro dicendomi: “Per Mixer devi essere pronta e tu sei digiuna di tv, prima devi imparare. Nel primo anno imparai tantissimo, anche grazie a Cherin Salvetti, sua preziosa autrice. Mi misero “in cucina”: smazzavo testi, tagliavo servizi, facevo piccoli montaggi e ricerche sul catalogo multimediale… Io ero anche un po' storta; mi ero laureata a Siena con 110 e lode, poi il Master all’estero e un’esperienza di lavoro in banca. Volevo spiccare subito il volo, invece mi ritrovavo chiusa al montaggio fino a tardi e ogni tanto mi chiedevo: avrò fatto bene? Che sono tornata a fare? Tra l’altro mi stavo separando dal mio primo marito, col quale vivevo a Londra, dopo un matrimonio lampo a 24 anni… Ebbi delle incertezze ma continuai: sei mesi da stagista, il primo contrattino. Passai ai documentari come ultima ruota del carro e poi, finalmente, Mixer».

Il primo traguardo lo aveva tagliato

«Sì, ma durò pochissimo perché un giorno, proprio sul più bello, Minoli ci convoca e ci informa che Mixer non si farà più: non c’erano più le condizioni. Per tutti noi fu un dispiacere enorme, ho pensato stesse subendo un’ingiustizia che amareggiava lui e distruggeva la squadra di lavoro che aveva creato. Mi ritrovai senza lavoro, io come gli altri della redazione».

E stavolta è una donna a darle un’occasione

«Luisella Testa, autrice meravigliosa che mi fece una prima selezione e poi e poi mi mandò da Costanzo. Dopo un paio di domande sul percorso fatto Maurizio mi chiese: sei sicura che te la senti? “Assolutamente” gli risposi, mentre dentro tremavo».

Che esperienza fu il Costanzo?

«Cambiai ritmo. Costanzo era spettacolo, musica, interviste, il famoso “fritto misto” dello show. Con lui ho imparato tantissimo ma quando Minoli finalmente tornò in Rai e mi richiamò, non ebbi dubbi: ringraziai Maurizio e tornai “a casa” dove la sfida cambiava ogni giorno. Iniziai a lavorare a “La storia siamo noi”, curavo reportage e documentari incredibili».

A un certo punto compare in video. Fu Minoli a proporle la prima conduzione?

«No. Nella squadra c’era Silvia Tortora, con lei nacque un legame unico, speciale. Insieme curavamo i documentari: “C’era un volta Portobello”, la storia di Calabresi, la storia della televisione… Scrivevamo copioni, trovavamo immagini, idee. Tutto merito della “cucina” che Minoli ci aveva fatto fare. Fino a quando con Silvia ci chiediamo: perché non scriviamo un programma noi? Io e lei avevamo un approccio diverso: Silvia introspettiva, interessata al fatto emotivo, scavava nei sentimenti, mentre a me interessava il dettaglio del fatto, il lato più cinico, la parte grigia della decisione. Così nacque “Big - La via del cuore, la via della ragione” dove lei rappresentava il cuore, io la testa. Presentammo il format alla Siae e realizzammo un numero zero: Minoli lo vide e ci disse “Mi piace, lo voglio».

Che effetto le fa rivedere quella puntata zero?

«Purtroppo le ho tutte eccetto quella. L’intervistato era proprio Minoli che si era prestato. Alla domanda “Nella vita ha usato più testa o cuore?” ricordo che rispose: “La testa, per arginare i danni del cuore”. Una frase che non dimentico».

E che ha fatto sua?

«Mi ritrovo molto nel ragionamento di Giovanni, forse anch’io ho usato più la testa, ma per tenere a freno il cuore che non controlli più di tanto. Silvia Tortora invece aveva il coraggio spudorato del cuore; era tra le persone più intelligenti che abbia mai conosciuto ma non riusciva, anzi non voleva, mettere da parte il cuore. Era coraggiosa Silvia».

Con Gaia Tortora, sua sorella, che rapporto avete?

«Un legame profondo. Non ci viviamo nella quotidianità ma lei sa che io ci sono, io so che lei c’è».

Uno su tutti: qual è l’insegnamento di Minoli che la guida ogni giorno quando si accende la spia della telecamera?

«Tutto quello che ho fatto finora è frutto della sua scuola, se sono tranquilla quando la luce si accende è grazie a lui».

È rimasta legata alla squadra degli inizi?

«Certamente. Giovanni è riuscito a creare un gruppo che non si è mai perso, anche a distanza di tanti anni. C’è un filo all’interno della Rai che ancora oggi lega tutti noi “minoliani”».

Si rivolge ancora a lui in cerca di consigli?

«Per me è importante conoscere la sua opinione, anche quando mi proposero la telecronaca del Palio di Siena corsi da lui per sapere cosa ne pensava».

A proposito di Palio, tiene sempre per la Giraffa?

«Sempre! E piazza del Campo resta il luogo del cuore. È la cartolina della vita e al centro ci sono io, orgogliosa, con la bandiera della mia contrada».


 

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