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Quando edilizia fa rima con sostenibilità: esperti a confronto al Tirreno

Quando edilizia fa rima con sostenibilità: esperti a confronto al Tirreno

L’incontro con rappresentanti delle imprese figure istituzionali, tecnici ed esperti di sostenibilità. Il confronto dedicato alle costruzioni e alle nuove sfide ambientali e regolatorie si è tenuto nella sede del quotidiano a Livorno

31 maggio 2023
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"L’edilizia e le nuove sfide ambientali e regolatorie" è il tema del forum che si è tenuto il 26 maggio nel salone della sede del "Tirreno" a Livorno. Moderato dal direttore Luciano Tancredi e dal vicedirettore vicario Cristiano Meoni, ha visto la partecipazione in qualità di relatori di Silvia Viviani, assessora all’urbanistica del Comune di Livorno; Michele Mazzoni, direttore Opere Pubbliche della Regione Toscana; Rossano Massai, presidente di Ance Toscana; Benedetta Marradi, docente di Laboratorio Integrato di Progettazione Architettonica, Scuola di Ingegneria, Università di Pisa; Giuseppe Comanzo, presidente di Cna Costruzioni Toscana; Erica Mazzetti, deputata e componente della Commissione Ambiente, Territorio e Lavori Pubblici. Di seguito la sintesi degli interventi curata da Leonardo Monselesan.
 

SILVIA VIVIANI
Edilizia e pubblica amministrazione
«Quello che stiamo attraversando è un momento difficile: ci siamo appena lasciati alle spalle una pandemia, e stiamo vivendo le conseguenze di una guerra alle porte dell’Europa e di una forte inflazione. Ma questa può essere anche un’occasione di cui approfittare per fare un passo avanti, anche nel campo dell’edilizia. E non mi riferisco solo agli aspetti tecnici, ma anche a quello della retorica che si accompagna alla parola edilizia. Questa non deve più essere genericamente associata ai lati peggiori del nostro Paese, come la tendenza alla speculazione o al costruire senza rispetto delle regole. È vero che in Italia si è costruito molto, e in alcuni casi anche male, ma è altrettanto vero che si è costruito anche bene. Dobbiamo abbandonare l’idea che edilizia significhi solo cementificare e realizzare nuove costruzioni. Adesso sappiamo che non dobbiamo consumare altro suolo, ma recuperare gli edifici già esistenti e rigenerare le città, e questo non deve essere fatto lavorando su un solo immobile alla volta. Serve una pianificazione di ampio respiro, che guardi alla rigenerazione delle città come a un patto d’impresa. Di un’impresa che deve rinnovarsi, attraverso un rinnovo delle competenze dei lavoratori del settore e dei dirigenti, che dovranno diventare sempre più in grado di rispondere alle nuove sfide che stiamo affrontando in termini di sicurezza ed ecosostenibilità».

La cassetta degli attrezzi
«Ma è anche necessario il rinnovo della cassetta degli attrezzi, cioè degli strumenti, delle regole, dei piani e dei progetti, visto che gli impianti normativi attualmente a nostra disposizione sono stati pensati per città in espansione, cioè l’esatto contrario del risultato che stiamo cercando di raggiungere. Per perseguire concretamente questi obbiettivi ci sarà bisogno di una pubblica amministrazione che possa diventare un faro e uno stimolo di evoluzione per tutto il settore, attraverso una rinnovata e migliore capacità di comprendere e affrontare le necessità di questo difficile momento storico. E se le amministrazioni riusciranno a recuperare la capacità di spesa, e se riusciranno a essere attori principali della progettazione degli interventi, questo obiettivo potrà essere raggiungibile. La mappa dei lavori pubblici, in programma e in atto, potrebbe così diventare una mappa che mostrerà come saranno le città del futuro».

Progettazione organica
«Vedete, io lavoro in uno studio professionale da 33 anni e mi sono sempre occupata di pianificazione urbanistica. Quindi sono sempre stata, anche se in modo indiretto, all’interno dell’amministrazione comunale di Livorno. Prima di entrare di fatto nell’amministrazione come assessora, sono stata anche una dirigente a contratto come tecnica per il Comune. Nella mia esperienza professionale, mi sono resa conto che quello che manca è un’integrazione del lavoro dei vari settori dell’amministrazione pubblica. Ciascuno di essi tende infatti ad operare come un compartimento stagno, guardando alla propria parte, ma senza coinvolgere o anche solo interpellare gli altri. Come penso sia ormai evidente, però, il settore edile, e in particolare l’edilizia pubblica, richiede un approccio trasversale da parte di diversi attori, diverse competenze e diverse professionalità. Solo in questo modo è possibile mettere in piedi una vera e propria progettazione organica dei lavori pubblici, che abbia l’ambizione di rigenerare un’intera città, e non solo di recuperare un edificio. Ma ancora troppo spesso si lavora su delle specifiche direttive, piuttosto che su un’ampia progettualità».

MICHELE MAZZONI
Le norme
«La Regione ha un ruolo molto importante nel regolamentare il settore dell’edilizia, e può fare così da guida ed esempio. I cambiamenti della normativa però non possono essere fatti a spezzoni, ma devono essere realizzati con una visione di insieme. Il nuovo codice degli appalti rappresenta una novità positiva e semplifica le procedure grazie ad una normativa unica, rispetto alla precedente pluralità, ma si può fare ancora meglio. Adesso però è necessaria una maggiore responsabilizzazione dei dirigenti pubblici. L’allargamento delle maglie della legge, in particolare per l’affido diretto degli appalti minori, potrebbe infatti semplificare anche l’operato di quanti vogliono arricchirsi in modo indebito. Molto però può essere fatto anche con altri accorgimenti, come l’introduzione di piccoli benefici per gli edifici ecosostenibili. Ad esempio, una riduzione degli oneri di allacciamento alle reti delle risorse pubbliche per le case particolarmente parsimoniose nei consumi. Un altro esempio potrebbe essere l’obbligo di installazione di un impianto fotovoltaico su ciascun edificio. Perché questo possa essere fatto anche nei centri storici, la ricerca di università e industria dovrebbe puntare alla realizzazione di gruppi elettrogeni che rispettino i vari vincoli relativi al patrimonio culturale. Ad esempio, pannelli fotovoltaici a forma di tegole rosse. Inoltre, bisogna pensare alla valorizzazione degli edifici pubblici inutilizzati, all’occorrenza anche attraverso l’alienazione a titolo gratuito in favore di un soggetto che si sobbarchi delle spese di recupero e manutenzione. Questi costi smettono così di gravare sulla pubblica amministrazione, e l’edificio torna ad essere utilizzato, generando così ricchezza anche per il pubblico».

Come rinnovare il settore
«Ci sono quattro punti fondamentali su cui bisognerebbe concentrare il rinnovo del settore. Il primo è la fase di progettazione, che deve passare da un cambiamento dei criteri di costruzione in ottica ambientale. Se prima infatti si puntava alla bellezza architettonica, oggi è necessario pensare al rispetto dei criteri ambientali minimi, e in generale sulla riduzione dell’impatto ambientale degli edifici. Per perseguire questo obiettivo, potremmo iniziare a fornire degli standard di modelli costruttivi, già adoperati e quindi di comprovata efficienza, pronti per essere riutilizzati a seconda delle necessità».

I materiali
«La seconda grande sfida riguarda i materiali da costruzione. Per un’edilizia sostenibile dobbiamo iniziare a utilizzare dei materiali dal basso impatto ecologico. Questo significa sia cercare di adoperare materiali la cui produzione comporti delle basse emissioni di CO2, sia che, una volta realizzato l’edificio, ne migliorino l’efficienza energetica. Un esempio è il ritorno in auge del legno come materiale da costruzione rinnovabile». I cantieri«Il terzo momento di cui possiamo migliorare la sostenibilità è quello della cantierizzazione, e il miglior metodo è quello di delocalizzare la produzione del materiale edile. Se nel cantiere venissero infatti portati direttamente dei moduli prefabbricati, che necessitano solo di essere montati da operai specializzati, si avrebbero diversi vantaggi. Prima di tutto la riduzione dell’inquinamento, ma anche un minor numero dei materiali presenti sul cantiere, e di conseguenza anche una maggior sicurezza».

La vita dell’edificio
«Il quarto aspetto da migliorare è l’impatto ambientale di mantenimento e dismissione dell’edificio. Durante la vita dell’edificio è infatti possibile ridurre i consumi attraverso sistemi di monitoraggio di questi e di telecontrollo, oltre che attraverso l’efficientamento energetico. Al termine del ciclo vitale, l’impatto della dismissione e le modalità di recupero dei materiali devono essere stati studiati a monte».

ROSSANO MASSAI
Pubblico e privato
«Chiarisco una cosa: le imprese edili non sono più banalmente imprese che cementificano. Il settore è permeato da una cultura della sostenibilità e della rigenerazione, nell’ottica dell’aderenza agli obiettivi di ecosostenibilità stabiliti dall’Europa. Per provare a raggiungerli, però, sarà necessario migliorare la collaborazione tra il settore pubblico e quello privato, che dovrà essere più paritaria e, come afferma il nuovo codice degli appalti, basata sulla fiducia tra le due parti. Senza un contributo economico da parte del pubblico, però, questi traguardi resteranno irraggiungibili. Ma anche con questo sostegno dobbiamo considerare che realisticamente sarà molto difficile centrarli entro le scadenze fissate dall’Unione Europea». Le riforme«Credo che ci sia bisogno di una riforma tanto della pubblica amministrazione che delle agevolazioni edilizie. Spesso, infatti, gli enti pubblici hanno troppo pochi professionisti che devono adempiere a troppe mansioni. A rimetterci è sia l’ente, che non riesce a far eseguire tutti i lavori, sia le imprese, che non ricevono le risposte necessarie per proseguirli. Serve quindi l’inserimento di nuovo personale, giovane e in grado di sfruttare appieno gli strumenti tecnologici. Ma anche dirigenti di alto livello, in grado di assumersi la responsabilità dei lavori che fanno commissionare, specie gli appalti ad affidamento diretto, scegliendo le imprese più attrezzate e serie».

I bonus
«Le agevolazioni invece, a differenza di quanto visto finora, dovranno tenere maggiormente in considerazione le differenze economiche dei cittadini. Il primo cambiamento dovrà necessariamente riguardare la normativa. Le imprese edili, dal 2016 ad oggi, hanno sofferto il costante cambio delle regole, problema esasperato con l’introduzione del Superbonus, per cui abbiamo visto mediamente un cambio di legislazione al mese. Alcune modifiche sono anche state dettate dall’emotività del momento e hanno finito per mettere in difficoltà le imprese oneste. Così è diventato impossibile fare qualsivoglia tipo di programmazione, che nell’edilizia è fondamentale e deve guardare avanti almeno di una decina di anni». Le difficoltà«I problemi riguardano principalmente la carenza di liquidità. Un primo esempio è il blocco della cessione dei crediti d’imposta, che ha messo pesantemente in difficoltà le imprese che hanno lavorato con il bonus, trovatesi senza poter riscuotere alcunché per i lavori fatti. Ma le difficoltà arrivano anche, nel caso di lavori pubblici appaltati a ditte private, dal ritardo che stanno subendo i conguagli dovuti per l’aumento subìto dai prezzi dei materiali negli ultimi tempi. Per ora solo il 12/13% circa delle ditte a cui spetta hanno ricevuto quanto dovuto da parte dello Stato. Sempre nell’ambito dei lavori pubblici, anche lo split payment è diventato fonte di problemi per le aziende. L’Iva, versata allo Stato dall’ente appaltante, viene infatti restituita all’azienda solo dopo diverso tempo. E questo significa un’ulteriore carenza di liquidità».

Nuove normative
«Quello che serve adesso è che lo Stato si metta a discutere a tavolo con le associazioni di categoria per stabilire una nuova normativa, studiandola in modo che possa restare stabile nel tempo e permettere così una programmazione a lungo termine. Allo stesso modo si dovranno pensare le agevolazioni del futuro, basandosi sull’effetto che avranno sulle finanze pubbliche. Nel caso del Superbonus uno studio dell’Ance ha dimostrato che per ogni 100 euro di credito ogni anno rientrano nelle casse pubbliche circa 40 euro, derivanti dalla tassazione del meccanismo economico messo in moto dai lavori». 

BENEDETTA MARRADI
Il contributo del sistema universiario
«L’università può dare dei contenuti e, soprattutto, degli strumenti che permettano di acquisire una capacità critica e valutativa da spendere nel proprio contesto professionale. Il punto di partenza è considerare la complessità del processo edilizio, che non corrisponde né al mero elenco delle procedure da effettuare, né a quello delle competenze che vi entrano in gioco, ma ha a che fare con un processo sinergico, caratterizzato da peculiarità specifiche del contesto italiano. Infatti, le nuove costruzioni ecosostenibili sono sicuramente un tema da tenere in considerazione, ma credo che lo siano ancora di più il retrofit, il recupero e il restauro degli immobili esistenti».
Patrimonio edilizio
«D’altronde sappiamo bene come il patrimonio edilizio italiano, in particolare quello realizzato dal secondo dopoguerra in poi, sia tendenzialmente connotato da una bassa qualità, nonché da una scarsa efficienza energetica, che fa pesare i costi dei consumi su famiglie, imprese e pubbliche amministrazioni. Quindi la ristrutturazione è una pratica che, oltre ad avere un risvolto economico e sociale, rappresenta anche un campo promettente per professionisti ed imprese». La parola sostenibilità«Ultimamente stiamo assistendo ad un uso improprio del termine sostenibilità. Ad essa concorrono un insieme di fattori eterogenei, e penso che sia riduttivo esprimerla soltanto in termini di risparmio di consumi o di punteggi. Questa ha infatti risvolti molto più ampi in ambito urbanistico ed edilizio, che insieme vanno a modificare l’immagine stessa di una città. Per questo, a livello universitario, il percorso formativo in questo ambito deve essere pluridisciplinare».

Le tendenze
«Riflettendoci, credo di aver individuato quattro tendenze che diventeranno protagoniste fondamentali per il lavoro dei progettisti di domani. La prima è quella della progettazione interdisciplinare. Al progetto edilizio collaborano infatti diversi professionisti, il cui apporto è superiore alla sommatoria delle rispettive competenze grazie alle interazioni che nascono dal confronto. Per cui avere una visione integrata del progetto è imprescindibile per la sua buona riuscita. Altro elemento fondamentale è lo User Centered Approach, ovvero chiedersi per chi si sta progettando. Si tratta di un approccio tecnico, che utilizza protocolli quantitativi di misurazione per fattori tecnici, come l’illuminazione o la qualità dell’aria, che però vedono al centro l’utente e il suo modo di rapportarsi con l’edificio. Questo è fondamentale per il benessere delle persone che si troveranno al suo interno, e penso che in edifici in cui si sta meglio si viva, si lavori e si studi meglio».

I materiali
«Il terzo fattore da considerare è quello dei materiali, che sono chiamati a rispondere a requisiti sempre più stringenti a livello prestazionale. Questi devono sottostare a una molteplicità di vincoli, che devono essere analizzati, ponderati e infine sintetizzati da un professionista. Per massimizzare l’efficienza dell’involucro di un edificio, però, è necessario prestare anche altrettanta attenzione agli impianti al suo interno. L’automazione e il telecontrollo di questi, se correttamente progettati e in seguito utilizzati dagli utenti, possono infatti avere una grandissima importanza sia per l’efficientamento energetico che per il miglioramento del benessere all’interno dell’edificio».

La digitalizzazione
«Infine vi è la digitalizzazione, tema introdotto anche dal nuovo Codice degli Appalti, e che porterà nel breve/medio termine all’utilizzo nelle pubbliche amministrazioni del Building Information Model. Questo comporta maggiori oneri sia a livello progettuale che di costruzione, ma rappresenta un nodo importante per la realizzazione di una progettazione integrata. Con la digitalizzazione sarà anche più semplice superare la tendenza dei vari settori a lavorare separatamente, consentendo una maggiore connessione tra le varie competenze. In questo modo sarà più facile la collaborazione di progettisti, imprese e stazioni appaltanti, in modo da migliorare il risultato finale dell’intervento».

GIUSEPPE COMANZO
Le piccole imprese
«Innanzitutto, vorrei fare il punto sulla situazione in Italia. Oltre il 90% delle imprese italiane non arriva a dieci dipendenti, e questi sono dati simili a quelli europei. Ma nel nostro Paese, oltre il 50% delle imprese con dipendenti ne conta al massimo due».

La formazione
«Detto questo, il comparto delle costruzioni accetta queste sfide, e per affrontarle ci stiamo dotando di un sistema di formazione professionale per lo più gratuito che verrà finanziato dalle imprese con circa 100 milioni di euro all’anno a livello nazionale. E solo nella Cassa Edile Regionale Toscana, abbiamo ogni anno un milione di euro dedicati alla formazione. Inoltre, le tre principali associazioni di categoria (Ance, Cna e Confartigianato), in accordo con Cgil, Cisl e Uil, hanno di recente recepito i due contratti di industria ed artigianato, i più utilizzati nel comparto, includendovi la formazione professionale per tutti i lavoratori del settore. Puntiamo molto su di essa sia per la professionalizzazione della persona, che per un miglioramento dei risultati».

La sostenibilità

«Abbiamo visto quello che è successo con l’alluvione in Emilia Romagna, che non è così diverso da quello che successe a Livorno pochi anni fa. Penso quindi che sia fondamentale parlare di sostenibilità. Di recente al ministro Musumeci è stato chiesto se eventi come quello dell’Emilia Romagna possono ripetersi in altre zone d’Italia. Lui ha risposto dicendo che il 90% del suolo italiano è a rischio idrogeologico. Questo significa che il dubbio non è sul se risuccederà, ma sul quando e sul dove risuccederà. Non possiamo continuare a vedere morte e disperazione ogni anno, dobbiamo realizzare dei progetti che riducano questi rischi. Si tratta di problemi ormai storici, e infatti tanto le direttive dell’Ue che i bonus per l’ecosostenibilità degli edifici arrivano da lontano. Già nel 2006 era stato introdotto l’ecobonus, e già si parlava dell’obiettivo neutralità climatica per il 2050. In Italia però abbiamo la tendenza a fare le cose a macchia di leopardo. Per esempio, il Comune di Parma sta effettuando un "censimento solare", facendo sorvolare i tetti del centro a dei droni per individuare dove potrebbero essere installati altri impianti fotovoltaici. Allora mi chiedo se non potremmo fare lo stesso anche da altre parti».

L’aiuto dello Stato
«Per raggiungere gli obiettivi stabiliti dall’Europa, però, la popolazione italiana avrà bisogno dell’aiuto dello Stato. Abbiamo visto quello che è successo con il Superbonus, ma le informazioni che sono state date in proposito sono parziali. Si è parlato delle enormi uscite legate all’agevolazione, ma non delle relative entrate, e quindi non si è preso in considerazione il costo reale della manovra. Dobbiamo ricordare infatti che un euro investito nell’edilizia si trasforma in 3 euro di Pil, ed è per questo motivo che negli ultimi anni questo ha continuato ad aumentare. Le prime denunce dei redditi stanno mostrando che i professionisti del settore hanno dichiarato il 37% in più rispetto agli scorsi anni, con punte del 54% per i geometri. Quindi allo Stato arrivano più tasse da parte dei professionisti, delle imprese e dei lavoratori». Troppe modifiche «Per avere queste ambizioni però, abbiamo bisogno di continuità. Dal 2006 ad oggi il Codice degli Appalti ha subito più di 800 modifiche. Il Superbonus ne ha ricevute circa una al mese dalla sua entrata in vigore. Ci siamo trovati davanti ad uno Stato che calpesta le proprie regole, che le inasprisce per tutti piuttosto che portare in giudizio quanti le violano. Con il nuovo Codice degli Appalti si è anche parlato di preoccupazione per gli affidamenti diretti. Questi però rappresentano una minima parte delle spese per i lavori pubblici, appena 10 miliardi contro i circa 220 dei lavori assegnati tramite bando».

ERICA MAZZETTI
Appalti e regole

«Il nuovo Codice degli Appalti è una riforma necessaria per rispettare le direttive Ue e ricevere così la terza tranche di fondi del Pnrr. La normativa entrerà in vigore dal 1° luglio, mentre quella relativa alla digitalizzazione dal 1° gennaio 2024, in modo da dare più tempo agli attori del settore per adottare i sistemi necessari. Credo che si tratti di una legge rivoluzionaria, che semplifica le procedure eliminando i passaggi superflui. I livelli di progettazione sono infatti passati da tre a due, riducendo di un anno i tempi di avvio dei lavori pubblici. L’altro principale obbiettivo era quello di migliorare i risultati, attraverso una maggiore qualificazione di stazioni appaltanti, imprese e professionisti coinvolti. Negli anni, queste ultime due categorie si sono evolute grazie a sviluppo tecnologico e formazione, mentre le pubbliche amministrazioni hanno spesso faticato a tenere il passo. Dobbiamo recuperare questo dislivello, per affidare maggiori responsabilità ai dirigenti e riportare un clima di fiducia tra stazioni appaltanti e imprese. Tutto questo sarà fondamentale per la buona riuscita sia dell’assegnazione diretta degli appalti minori, che delle gare per gli appalti maggiori».

Il Pnrr
«Apro una piccola parentesi sul Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr): da quando è stato approvato, il mondo è cambiato, con l’arrivo di una guerra alle porte dell’Europa e l’aumento dell’inflazione e dei prezzi. Adesso è doveroso chiedersi se tutti i progetti fatti al tempo siano ancora attuali e necessari. I vari ministeri stanno lavorando a delle ipotesi di modifica, che verranno presentate dal ministro Raffaele Fitto».

I bonus edilizi
«Anche quand’ero all’opposizione, ho subito visto di buon occhio il Superbonus. Il settore edile era in crisi da tempo ed era necessario uno shock per farlo ripartire. Questa misura era un’ottima opportunità, che però è stata realizzata con tempi e modi scellerati. I conti non erano stati fatti correttamente in partenza, e i risultati si vedono oggi, con moltissime imprese in difficoltà. Lo Stato deve però far tornare i conti di anno in anno, mentre le spese per il Superbonus rientreranno nel giro di 5/10 anni. Dobbiamo trovare una soluzione. La priorità è sbloccare i crediti incagliati. Per farlo abbiamo accontentato le banche, rimuovendo la responsabilità solidale. Stiamo cercando di capire cosa altro possiamo fare per metterle in condizione di acquistarli il più rapidamente possibile, e garantire la sopravvivenza delle imprese del settore. Anche perché, se non saranno le banche a liquidarli, ci penseranno fondi esteri o altri speculatori, che pagherebbero solo una minima parte del loro valore. Per quanto riguarda invece la piattaforma di Enel X per lo smaltimento dei crediti, ci sarà ancora da aspettare. Servirà tempo per mettere in piedi questa struttura giuridica finanziaria dell’azienda, e per programmare e mettere in atto una verifica dei crediti prima di liquidarli. Nella migliore delle ipotesi, questa vedrà la luce a fine settembre. In compenso, l’azienda sta iniziando a liquidare i crediti già acquisiti».

Il riordino
«In futuro avremo però bisogno di continuare ad incentivare l’efficientamento energetico, sismico e idrico degli edifici, ma sarà necessario riordinare i vari bonus e ridurne il numero. Sto lavorando a una proposta di legge strutturale, di cui discuterò con le categorie economiche e professionali del settore, la proposta di un incentivo che consenta a chi ha un reddito basso di continuare a cedere il 100% del credito d’imposta, con un occhio di riguardo alle case popolari. Infatti, solo l’1% di questi edifici, che ne avrebbero avuto maggiormente bisogno, è stato toccato dal Superbonus per la complicatezza delle procedure. Per chi invece ha un reddito sopra una soglia ancora da definire, il credito d’imposta non sarà al 100% delle spese e dovrà essere scalato dalle tasse. L’incentivo dovrà però premiare maggiormente gli interventi che porteranno migliori risultati nell’efficientamento energetico».

Le norme Ue
«Dobbiamo fare i conti anche con le direttive europee, secondo cui dovremmo efficientare il 65% circa degli edifici del Paese entro il 2033. Un obiettivo impossibile in questo lasso di tempo, anche considerando che con il Superbonus abbiamo toccato solo il 4% degli immobili. Nonostante questo, dobbiamo fare in modo che tra i cittadini italiani si diffonda sempre di più l’ambizione di efficientare l’abitazione». 

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