Acqua in pericolo, vietato sprecarla. Il racconto della nonna: «Quando ci si lavava in una tinozza...»
Siccità e sprechi: la risorsa è sempre più scarsa. Due donne, nate nel 1945 e nel 1970, raccontano la loro quotidianità da ragazze, quando ogni singola goccia aveva valore
L’acqua è un bene fondamentale, ci ha permesso di fondare villaggi, città, fino a entrare nelle nostre case. Quella che per noi, oggi, è una risorsa scontata, non lo era appena sessant’anni fa. Per questo abbiamo deciso di ascoltare le testimonianze di due donne che hanno vissuto l’infanzia e la giovinezza in periodi in cui la disponibilità di acqua in casa era poca.
Una è una nonna, Federica Giorgi, nata nel 1944, pensionata della provincia di Lucca. «Per lavarmi – racconta – utilizzavo una tinozza e non l’acqua corrente come si fa oggi. In più non ci si facevamo il bagno tutti i giorni, ma una volta ogni due settimane. Mia mamma era solita lavarmi i capelli tamponando prima il cuoio capelluto con del cotone imbevuto nell’alcol denaturato, e poi sciacquando i capelli con acqua e aceto». Non esisteva nemmeno il bagno. «Quello che avevamo – racconta ancora Federica Giorgi – era un ambiente separato dalla casa in cui c’era una latrina, che all’incirca ogni mese veniva coperta e ricostruita». Ovviamente non esistevano lavatrici e lavastoviglie. «I piatti – prosegue – si lavavano con l’acqua già usata per cucinare, mentre i vestiti si lavavano a mano nell’acquaio o in una tinozza, e si risciacquavano in ruscelletti vicino casa. L’acqua per uso alimentare era ridotta al minimo e la si riusava per cucinare altre cose e innaffiare i giardini».
La prospettiva degli anni Ottanta la racconta, invece, Marina Santori, nata nel 1970, anche lei della provincia di Lucca.
«Io vivo in campagna con la mia famiglia – racconta Marina – e l’acqua era usata in maniera parsimoniosa, a differenza dei centri cittadini, dove l’utilizzo era sempre più disattento. I modi di risparmio erano sempre gli stessi: i piatti venivano lavati con l’acqua usata per cucinare e si beveva l’acqua del rubinetto. Il bagno era inteso in maniera più moderna, c’era il wc e, nelle famiglie più agiate, c’erano anche la vasca e la lavatrice».
Marina ci racconta che lei da piccola si lavava ogni domenica, ma anche in quella occasione c’era comunque il modo per risparmiare acqua. «La vasca – racconta – veniva riempita una volta sola e poi facevamo a turno con i miei tre fratelli».
Tutto ciò a noi sembra assurdo, perché siamo abituati a un uso di acqua spropositato, che supera spesso le nostre necessità. Quello che per i nostri genitori e i nostri nonni era un lusso, per noi oggi è scontato. Siamo una generazione di consumatori, viziati dalla certezza della costante fornitura d’acqua.
Tutto ciò che ci circonda sfrutta l’acqua, dall’industria tessile a quella alimentare. Ma anche noi nella vita di tutti i giorni abbiamo un forte impatto. Per esempio, tendiamo a fare docce lunghe o a lavarci i denti dimenticando il rubinetto aperto. Altre brutte abitudini possono essere sciacquare i piatti prima di metterli in lavastoviglie o fare molte lavatrici, mai a pieno carico.
In modo inconsapevole incentiviamo il nostro impatto idrico anche nelle scelte legate alle abitudini alimentari. La produzione del cibo che mangiamo, infatti, ha come punto di partenza proprio l’acqua, e la stessa cosa avviene nell’industria tessile, che si concentra sul produrre una grande quantità di vestiti senza interessarsi all’ambiente.
Molti potrebbero essere gli accorgimenti che ci permetterebbero di ridurre il nostro consumo idrico e di riacquisire la consapevolezza dei tempi passati, in cui niente era assicurato.
*Studentesse di 16 anni del liceo Vallisneri di Lucca