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L'intervista

L'ex ministro Orlando visita Cospito in carcere: «Mi è sembrato lucido, determinato. Non facciamolo diventare un simbolo»

di Sara Venchiarutti
L'ex ministro Orlando visita Cospito in carcere: «Mi è sembrato lucido, determinato. Non facciamolo diventare un simbolo»

La visita del politico in carcere a Sassari per accertarsi dello stato di salute dell’anarchico già da tre mesi in sciopero della fame contro il 41 bis: «Il rischio è quello di far diventare la figura di Cospito un simbolo e un punto di riferimento per la galassia anarchica che proprio in questi giorni sta manifestando in suo favore»

30 gennaio 2023
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Solo pochi minuti. Sufficienti però per capire di trovarsi davanti a una persona «molto determinata». E soprattutto a qualcuno che non si è pentito di nulla. Anzi, «mi sembra che Cospito sia consapevole che più questa vicenda procede, più è destinato a diventare un simbolo. Sta cercando di far diventare la sua storia un caso esemplare». 

«E le autorità dovrebbero riflettere se questo è nell’interesse dell’ordine pubblico», dice Andrea Orlando, ex ministro della Giustizia, che qualche settimana fa incontrò Alfredo Cospito in carcere a Sassari. L’anarchico è ormai da oltre 100 giorni in sciopero della fame contro l’applicazione del 41 bis del Codice penale. Il carcere duro. Una misura che, secondo Orlando, poteva essere evitata con altre soluzioni dell’ordinamento italiano.

Onorevole, partiamo dall’incontro con Cospito. Cosa emerse?

«Abbiamo riscontrato una persona ancora lucida e determinata a portare avanti il suo intento: usare lo sciopero della fame come forma di protesta estrema in contestazione all’applicabilità del 41 bis in generale. Naturalmente il nostro incontro non significava né una condivisione delle sue idee né delle sue richieste. Era un’occasione per accertarsi delle condizioni di salute di un detenuto. E anche di sollecitare l’attenzione delle istituzioni, perché siamo di fronte a una zona grigia dell’utilizzabilità del 41 bis».

Il 41 bis andrebbe rivisto in generale?

«No, credo che sia uno strumento ancora necessario per fronteggiare le organizzazioni criminali, rispetto alle quali c’è anche una forte sottovalutazione nel dibattito pubblico per la forza che tuttora hanno nelle regioni di origine e non solo. Poi si può discutere sulle modalità della sua attuazione, sull’adeguatezza delle strutture. Ma la zona grigia riguarda questa situazione specifica».

Nel caso Cospito c’è una sproporzione tra la misura e il profilo del detenuto?

«Sì, l’impressione è quella. Poi per dare un giudizio effettivo bisogna disporre di tutte le carte».

Quali le ragioni che fanno pensare a una sproporzione?

«L’applicazione a un contesto anarchico aveva già una serie di punti interrogativi, poi diventati ancora più forti dopo la scelta dello sciopero della fame fatta da Cospito, che pone una questione essenziale: lo Stato non può permettersi di lasciar morire una persona di cui dispone avendolo privato della libertà. I messaggi di Cospito inviati dal carcere non sono come quelli che tradizionalmente si tentava di impedire quando nacque l’istituto del 41 bis, soprattutto i “pizzini”. Siamo invece di fronte a un’organizzazione molto più disomogenea, meno radicata e pervasiva. E i messaggi di Cospito si potevano impedire anche attraverso altre forme di censura, senza procedere necessariamente al 41 bis».

C’erano soluzioni alternative?

«Certo. Nessuno chiede che Cospito sia liberato, ma l’alta sicurezza avrebbe consentito ugualmente di assumere misure di controllo su una comunicazione non di tipo mafioso».

Lei da ministro della Giustizia cosa avrebbe fatto?

«Non lo so, mi sarei dovuto trovare nella situazione. Non ho mai firmato il regime di 41 bis per gli anarchici, ma non significa che in determinate circostanze non avrei potuto farlo anche io. Qui ed ora la prima cosa da fare è intervenire per impedire una morte che rischia di essere di ora in ora sempre più probabile».

In Cospito ha visto una forma di pentimento, anche rispetto all’utilizzo della violenza?

«No. Ma non dobbiamo valutare così l’idoneità del 41 bis perché si crea un equivoco che avviene anche con i mafiosi. Non è che il 41 bis è tolto perché i malavitosi si sono pentiti, ma perché, essendosi pentiti, non hanno più rapporti con le organizzazioni criminali. In ogni caso non vorrei fare un monumento a Cospito. È una persona che sostiene le sue idee. E uno Stato forte non deve aver paura di nessuna idea. Bisogna invece agire perché se lo Stato nega il senso di umanità che deve corrispondere all’attuazione delle norme, più o meno volontariamente dà ragione a chi ne contesta l’autorità e a chi sostiene che ci sono delle lacune nell’applicazione dello stato di diritto e sulla base di questo giustifica la violenza. Lo Stato anche negli anni più duri del terrorismo ha svolto una funzione repressiva, senza mai uscire dai cardini della Costituzione».

Ora Cospito è stato trasferito al carcere di Opera a Milano.

«Un segnale che va nella direzione giusta. Il garantismo deve essere una cultura che si esercita non solo quando riguarda un vicino di ombrellone nello stabilimento esclusivo, ma anche con persone molto distanti da noi e avversari politici».

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