La crisi dell’auto e l’eco-transizione rivoluzionano l’industria meccanica: a Livorno nuove produzioni
Un doppio scossone che colpisce proprio le fondamenta: l'analisi e gli effetti
La Grande Trasformazione dell’industria dell’auto sta rivoluzionando l’identikit dell’industria meccanica livornese. Un doppio scossone che colpisce proprio le fondamenta. Da un lato: la crisi (quantitativa) del mercato dell’auto con la diminuzione drastica dei volumi, in particolare della galassia made in Italy legata alla Fiat, che soffre sia per il posizionamento sulla fascia bassa delle tipologie di veicoli (con la competizione principalmente sul prezzo) sia per la vetustà della gamma offerta di clienti (con la mancanza di modelli davvero nuovi ormai da almeno un decennio). Dall’altro: adesso c’è da fronteggiare la mutazione radicale (qualitativa) della mappa degli approvvigionamenti nella catena della fornitura, visto che i nuovi motori elettrici modificano del tutto le componenti, e perciò la geografia delle fabbriche che li inviano.
C’era una volta un sistema industriale costruito attorno alla meccanica dei motori: cent’anni fa con Barison che immaginava fantasiosi motori d’avanguardia o mezzo secolo fa con Bizzarini che creava fantastiche supercar. Parliamo anche della Spica, arrivata a creare l’iniezione della Montreal e a sfornare una gamma di candele e pompe. Poi diventerà Fiat Auto, successivamente sarà divisa a metà fra le multinazionali Trw e Delphi, infine sparirà per sempre come realtà industriale nel giro di pochi anni: ancora oggi, a distanza di quasi un decennio dalla fine di Trw (e a 13 anni dall’ultimo atto per la Delphi), resta una carcassa depredata di ogni possibile residuo commercializzabile come scarto. Il catafalco dell’ex città industriale che Livorno è stata: una delle otto province italiane dove fino al decennio scorso era più forte la specializzazione nel settore auto (e se togliamo dal tavolo il peso degli stabilimenti Fiat, solo a Isernia, Chieti e Cuneo le fabbriche della componentistica auto avevano un peso simile). Fino a vent’anni fa l’industria dell’auto valeva 2.411 occupati nel comprensorio di Livorno, secondo un dossier regionale dedicato alla crisi in questo campo nel giro di pochissimo tempo si è «perso circa il 20% degli addetti». In realtà, al netto della meteora Mtm l’emorragia è stata di 900 posti di lavoro, quasi il doppio.
Di tutto quel mondo manifatturiero nell’indotto auto ora restano in piedi due fabbriche a capitale straniero: l’austro-canadese Magna (che nella piana di Guasticce a un passo dall’interporto realizza chiusure per auto) e la tedesca Pierburg (che all’ex Motofides, poi Gilardini, costruisce pompe). Entrambe contrassegnate da un aspetto: hanno al proprio interno non solo la produzione e stop ma anche una équipe di ricerca che lavora sull’innovazione.
L’indizio per guardare a questo settore manifatturiero con altri occhi lo offre la traiettoria di Compolab, il laboratorio di “cervelli” nato per iniziativa della Regione in tandem con istituzioni locali e Confindustria così da fare in modo di creare un ecosistema che aiuti le multinazionali del settore auto a mettere radici nel territorio. Ecco, adesso ha allargato il raggio d’azione al biomedicale, alle energie rinnovabili e all’ingegneria ferroviaria, solo per citarne alcune.