Il Tirreno

Toscana

Batterio New Delhi, il primario di Cisanello: «I sintomi e come avviene il contagio»

Mario Neri
Francesco Menichetti
Francesco Menichetti

Ha fatto vittime in Toscana. Francesco Menichetti: è letale se non viene diagnosticato in tempo. Per fermarlo è essenziale che il personale sanitario rispetti le procedure 

2 MINUTI DI LETTURA





Il super batterio denominato "New Delhi" ha colonizzato centinaia di pazienti fra quelli ricoverati negli ospedali dell'Asl Toscana nord ovest e a Cisanello. Ne ha infettati più di 50, alcuni sono morti. Con il primario Francesco Menichetti approfondiamo il caso.

Professor Francesco Menichetti, primario di Malattie infettive a Cisanello, da dove arriva questo batterio?

«È un microrganismo multirestente agli antibiotici. Potrebbe essere arrivato con un paziente trasferito da un ospedale all’altro, anche da un’altra regione o dall’estero. Il problema è l’enzima trasportato dal batterio, e cioè l’Ndm, e non è di poco conto per i medici, perché mette in crisi gli antibiotici ad ampio spettro, complicando la ricerca delle terapie».

In che modo?

«Anche questa è un’infezione ospedaliera. E da anni negli ospedali della Toscana è presente un’infezione endemica, prodotta dalla Klesbiella, un batterio che produce l’enzima Kpc, capace di far ammalare centinaia di pazienti. Ecco, in una situazione così è comparso il New Dehli, con un enzima ancora più aggressivo».

Quali sono le terapie? La Regione suggerisce un cocktail di otto farmaci.

«Sono difficili quelle per il Kpc, contro il New Dehli ancora di più. Serve un cocktail, ma possono bastarne anche due. L’applicazione è empirica. L’importante è la tempestività nella diagnosi. Se non trattato subito, il malato infetto muore».

Quali sono i sintomi?

«Febbre, può svilupparsi in polmonite, infezione urinaria o in altri tipi di setticemia».

[[atex:gelocal:il-tirreno:regione:toscana:1.37420170:gele.Finegil.StandardArticle2014v1:https://www.iltirreno.it/toscana/2019/09/06/news/il-super-batterio-che-uccide-negli-ospedali-decine-di-pazienti-infettati-dal-new-delhi-1.37420170]]

Qual è il rischio di morte?

«La letalità delle setticemie da Ndm è del 40%».

Tutti i portatori sviluppano l’infezione?

«Assolutamente no. Su 350 casi, una cinquantina hanno sviluppato un’infezione. Alcuni sono morti, sì. E più che di portatori, si parla di colonizzati, che trasportano il batterio nell’intestino».

Come avviene il contagio?

«I maggiori rischi di diffusione sono fra ricoverati. Può capitare a chi subisce un intervento chirurgico, a chi mette una protesi o fa una chemioterapia».

Perché?

«La diffusione dei germi resistenti, oltre che a un uso sconsiderato degli antibiotici che negli anni ha spinto i batteri a mutare, è legata al mancato rispetto di buone pratiche assistenziali da parte del personale sanitario. Un infermiere o un medico, se non si lavano le mani nel passaggio da un paziente all’altro, possono favorire il contagio. È questo che dobbiamo fare: rilanciare una campagna di igiene ospedaliera, creando team con professionalità miste che verifichino nei reparti che le procedure vengano rispettate. Ovvio, servono investimenti».

E i portatori sani dimessi dagli ospedali?

«Il portatore, una volta dimesso, supportato da indicazioni sull’igiene, smaltisce il batterio col tempo. L’importante è che non faccia terapie antibiotiche».
 

Primo piano
Mare e ambiente

Bandiere Blu 2025 in Toscana, assegnato il riconoscimento: new entry, numeri e conferme

Sani e Belli