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P#327, cos’è e come nasce il “nuovo” Brunello figlio di una… particella di vigna

di Antonio Paolini

	Leonardo Bellaccini
Leonardo Bellaccini

Frazione top d’una vigna di Campogiovanni debutta in solitaria con l’annata 2020

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Somiglia un po’ a un giocattolo d’un tempo, di quelli insieme semplici e sofisticati, oggi scalzati dal diluvio digitale, il lavoro dell’enologo “high level”. Si chiamava caleidoscopio il giocattolo, sintesi di un doppio processo: prima scomporre (i pezzetti di vetro di colori e forma assortiti) e quindi ricomporre - affidandosi al caso e all’estro del progettista se si è bimbi che giocano, all’esperienza e alla tecnica se si è professionisti del vino - riassemblandone cioè un certo numero per dar loro senso e riconoscibilità finale. È per questo che le singole vigne, e nella stessa vigna frazioni diverse per situazione geologica o microclimatica, se la struttura di cantina lo permette vengono vinificate e testate separatamente. Fino al momento del “taglio”, quando il winemaker decide cosa va con chi, e per fare cosa. Capita poi (non è una regola, ma neppure un’assoluta eccezione) che uno dei pezzi del puzzle, un pezzo di vigneto che già s’è meritato la sua vasca e il suo spazio, con disarmante costanza a ogni test d’assaggio mostri d’avere una marcia in più.
La novità
È così che nasce la tentazione. E se hai un’azienda che ti dà carta bianca (strameritata in un tragitto pluridecennale da apprendista stregone a solido leader) ecco che si può passare ai fatti. È nato così un nuovo “vecchio” Brunello: il P#327 di Campogiovanni. Vecchio perché chi negli anni il Campogiovanni ha comprato e bevuto ce l’ha sempre trovata dentro, nel mix derivato dai 6 ettari dedicati al Montalcino d’annata (nella Riserva vanno uve di altri vigneti, e altre ancora nel Rosso). Nuovo perché la particella (la P sta per quello e il numero è quello attribuitole dallo storico catasto Leopoldino) debutta in solitaria ora, con l’annata 2020.
La firma
A firmare la scommessa (e presentare la “deb” ambiziosa, in centrato ambo con i piatti del Convivio di Roma) è il suo mentore, l’enologo di casa Allianz (Chianti Classico, Bolgheri e Maremma oltre a Montalcino e la gemma dello splendido borgo-resort di San Felice) Leonardo Bellaccini. Quattro decenni di lavoro in ditta (e i risultati evidenti) gli han dato, oltre alla celebre licenza di uccidere quel che non va, anche quella di far nascere creature come la P#327. Che giustifica subito e in toto la scelta del suo sdoganatore confrontata nel calice col Brunello pari annata, del cui mosaico ora non fa più parte. Eterea, setosa, elegantissima, la neonata rivendica senza paura o dubbi il ruolo di étoile pur in un corpo di ballo del livello accertato del Campogiovanni. Chi del grande Sangiovese (da Brunello e non solo) ama su tutto la grazia, e poi la capacità di affinarla ancora nel tempo (già deliziosa, la P#327 è comunque ai primi passi nel mondo) «deve» assaggiarla. E poi ci faccia sapere…

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