Cento anni fa nasceva Paul Newman, il divo benefattore con la Toscana nel cuore
Risale al 2006 la scelta di finanziare il “Dynamo Camp” sul nostro Appennino pistoiese: il ricordo dell’amico imprenditore
Oggi, cento anni fa. Quegli occhi sarebbero rimasti sicuramente di ghiaccio, se non fosse stato costretto a chiuderli alla fine di settembre del 2008. Paul Newman, il divo dei divi, era nato il 26 gennaio 1925. Venne alla luce nell’Ohio e durante le sue esistenza e carriera, grazie a un irripetibile bagaglio di talento, fascino e carisma, non si scrollò mai di dosso l’etichetta dell’icona di Hollywood. Eppure, una delle più grandi stelle del cinema Usa mai esistite è morto “da toscano”. Ha voluto morire “da toscano”. I suoi occhi di ghiaccio, infatti, si sciolsero di fronte ai paesaggi delle montagne toscane e al verde incontaminato dell’Appennino pistoiese.
Ne rimase talmente folgorato da riservare a quel comprensorio l’ultimo slancio da grande benefattore qual era. Tramite la sua organizzazione internazionale di solidarietà, la “Hole in the Wall”, entrò in contatto con l’imprenditore filantropo Vincenzo Manes, il quale aveva da poco rilevato la proprietà del gruppo Smi (Società metallurgica italiana), l’industria fondata dalla famiglia Orlando per decenni leader nella fabbricazione di munizioni da guerra e da caccia e di semilavorati in rame. Nel tempo, l’azienda incontrò difficoltà sempre più crescenti sul mercato e fu costretta a ridimensionare la presenza, chiudendo prima lo stabilimento di Limestre (era il 1984), poi quelli di Campo Tizzoro. E proprio Limestre, con la confinante azienda agro-faunistica degli Orlando, divenne ben presto la culla del progetto di Manes, che pensò di allargare all’Europa e all’Italia la “rete” dei camp dell’attore Usa.
Fu sufficiente un solo incontro per far scattare la scintilla dell’intesa tra Vincenzo, Enzo per gli amici, e Paul. L’uno si scoprì un alleato formidabile dell’altro, e viceversa. Parlavano la stessa lingua, quella della finanza con un cuore che batte per i più deboli, i più sfortunati, i più disagiati. Da quella stretta di mano nacque appunto la scommessa di “Dynamo Camp”, un villaggio-vacanza per bambini gravemente ammalati a cui assicurare un’oasi di serenità, svago e benessere in grado di consentire a loro e alle rispettive famiglie di riconquistare un po’ della spensieratezza perduta per combattere meglio la malattia.
«Di Paul – ricorda oggi Vincenzo Manes, ideatore e presidente della Fondazione Dynamo Camp, contattato da Il Tirreno – mi colpì immediatamente la semplicità, la naturalezza con cui mi invitò a parlare di persona a casa della volontà, che gli avevo espresso, di realizzare in Italia un camp ispirato al modello degli “Hole in the Wall Camp” che lui aveva fondato quasi 20 anni prima».
Il passo successivo fu appunto la visita a Limestre. «Rimase affascinato – aggiunge Manes –. Esclamò: “Questo sarà il camp più bello!”. Fu una visita di sostanza: ci diede consigli e indicazioni fondamentali per la funzionalità degli spazi e progettuali. Nell’occasione ho ammirato il suo essere concreto, e di basso profilo. Uno dei momenti a cui aveva tenuto di più in quei giorni, era una visita all’ospedale pediatrico Meyer di Firenze: una visita privata, in cui si era intrattenuto in ludoteca coi bambini presenti, col pennello per gli acquarelli in mano, e dedicando poi del tempo da solo a bordo letto nel reparto di oncologia pediatrica. La sua legacy vive nel nostro progetto».
Purtroppo, a causa delle sue condizioni di salute, Newman raggiunse Limestre solo una volta, quella a cui si è riferito Manes nel suo ricordo: era il 4 maggio del 2006 quando la star di Hollywood arrivò in elicottero sulla montagna pistoiese e visitò il cantiere del villaggio-vacanza. «It’s a magic place», ebbe a dire al termine del sopralluogo. Aggiungendo subito dopo: «Tornerò a fine lavori». Ma non tornò più. Decidendo di lasciare il mondo poche ore prima della prima festa aperta al pubblico (era il 27 settembre 2008) del “suo” Dynamo.
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